(foto Samuel Cogliati)

Se in Meridione accettare una tazzina al bar è d’obbligo, ora qualcuno si ingegna per impedire che questo diventi uno spiacevole onere.

di Ludovica Scaletti e Giulia Pepe

«C’è qualcosa?» è la domanda magica dell’avventore alla cassiera. «Venite che vi faccio un caffè» è la risposta.
Non siamo in un mondo ideale, ma in un bar di un quartiere qualsiasi di Napoli, non importa che sia in centro o in periferia. È noto che il caffè nella città partenopea è un rito, una necessità, una tradizione, ma forse pochi sanno che l’usanza popolare vuole che si lasci un caffè pagato per chi arriverà dopo e magari non se lo può permettere. Capita così che ci si trovi in un bar e il proprio vicino rivolga la domanda al barista e quello gli serva una tazzina di caffè nero fumante, senza battere ciglio.
Se un tempo l’usanza di offrire una tazzina di caffè a uno sconosciuto era molto diffusa in tutta la città, oggi però in alcuni bar non funziona più così. Alla domanda: «Da voi si usa lasciare un caffè pagato?», c’è chi risponde no, con un punto interrogativo, come se non sapesse di cosa si sta parlando. Ma basta cercare un po’ e si trova chi non ha dimenticato la tradizione: «Da noi si usa ancora, assolutamente», rispondono dal Cubabar di viale Cavalieri d’Aosta. Risposta positiva anche dal bar Brasil di via Granturco.
Sarebbe divertente provare l’esperimento in un bar di Milano o di un’altra città del nord, del centro o del sud d’Italia: è probabile che il risultato non sarebbe lo stesso, a meno che il cameriere non sia un partenopeo emigrato.
Certamente oggi lo si fa meno, non tutti i giovani sono al corrente e può darsi che non tutti rispettino la tradizione. Di certo la tazzulella ‘e cafè a Napoli non si nega a nessuno.

(foto Dania Ceragioli)
(foto Dania Ceragioli)

“Ah, che bello ‘u cafè”: tutti d’accordo con il ritornello di De André. Ma se il più caro dei vizi italiani diventa un modo per trovarsi nei guai? In molti paesi della Calabria non è così difficile che succeda.
Partiamo da uno stereotipo di quelli veri, però: al sud la gente è molto più generosa, forse fin troppo. Un esempio: il “galateo meridionale” del bar. Infatti quando si entra in un bar almeno una volta si sentiranno frasi come «me la sono già vista io», «pagati un caffè anche per il mio compare», o «ve lo posso offrire un caffè?» Richiesta fatta non a un amico, ma al primo compaesano che entra a bersi un caffè.
L’offerta non è casuale: ci sono regole precise. Offre chi è da più tempo nel bar e che se ne andrà prima. Ovviamente la risposta non può mai essere «no». Mai davvero, perché altrimenti scatta l’offesa, per usare gergo da bar. E l’offerente è disposto a chiamare in causa anche i santi per convincerti. «Pa’ madonna, così m’affendi»: tipico modo per convincere in dialetto calabrese. E quando scende in campo anche la madonna, non si può proprio rifiutare e ci si ritrova a accettare offerte da chiunque.

Molti staranno pensando: che male c’è? Purtroppo c’è. Perché in molti contesti si è costretti ad accettare (e di conseguenza un giorno a ricambiare) un caffè anche da chi non vorresti proprio come “amico”. Perché parliamo di contesti in cui non è difficile che il compagno di bancone appartenga alla classe della “gente poco onesta”. Un aneddoto per dimostrarlo. Siamo in un paese in provincia di Reggio Calabria definito, in una canzoncina della tradizione ‘ndranghetista, di tutti i paisi è lu chiù malandrino. In un bar, su un cartello, si legge: “In questo bar è vietato offrire il caffè al primo che entra”. Ci pensi un po’, la reazione iniziale è ritenere che non abbia senso. Poi ti rendi conto che per evitare problemi il barista è costretto a punire la generosità. «Pure in carcere ‘u sann fa’», per ritornare al ritornello iniziale. E questo va bene. Ma finire in carcere per un caffè?

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