(Veduta del paese di Soave e del territorio circostante)

All’edizione 2016 della degustazione, incursione nello stato di forma del bianco veronese

di Giorgio Fogliani

Soave – settembre 2016

Un po’ per il bisticcio sillabico (Ve-Ve), un po’ per il piglio battagliero dell’avverbio latino, SoaveVersus è un nome certamente originale per una manifestazione dedicata a questo vino. Su versus getta luce lo stesso direttore del consorzio, Aldo Lorenzoni:

«In questo continuo divenire, tra passato e presente, tra tecnica e passione, il Soave oggi può vincere nuove sfide contro (VERSUS) luoghi comuni che ancora a volte accompagnano la corretta percezione di questo vino».

«Luoghi comuni», peraltro, la cui natura resta imprecisata. Come che sia, SoaveVersus 2016 – alla Gran Guardia di Verona dal 3 al 5 settembre – è stata un’occasione proficua per assaggiare uno accanto all’altro diversi soave delle ultime tre vendemmie e farsi così un’idea, per quanto accennata, sullo stato di salute generale della denominazione, e nonostante l’assenza di alcune delle aziende più note, come Pieropan, Anselmi, Suavia o Inama.

Il luogo

Diverse sono le frecce che quest’area ha al proprio arco: il terroir di origine vulcanica (inserti di basalto e calcare) che contraddistingue la zona “classica” (comuni di Soave e Monteforte d’Alpone; il soave tout court invece poggia su terreni di diversa natura, perlopiù alluvionale); colline talora ripide che possono raggiungere 400 mslm e offrono condizioni climatiche favorevoli; un vitigno di notevole interesse e da tempo radicato come la garganega, completabile dal trebbiano di Soave e, in misura minore, altri vitigni; una forma d’allevamento tipica come la pergola veronese, che garantisce per sua struttura un’aerazione dei grappoli strategica nella lotta alle malattie della vite e che tuttavia appare oggi minacciata, perché non meccanizzabile, dalla concorrenza del guyot e di altri impianti a filare.

La peculiarità del terroir è un argomento di richiamo sempre crescente, e i produttori sembrano averlo capito sia in sede di vinificazione sia in sede di comunicazione (frequenti le etichette “parcellari”). Un po’ meno, forse, dal punto di vista della viticoltura, dato che molti di loro vedono ancora con un misto di paura e antipatia le pratiche agricole che più di altre sono suscettibili di legare il vino alla sua terra d’origine. Alla parola biologico un produttore che pure si vanta di effettuare «pochi» trattamenti trasalisce: «No, biologici no! Diciamo che siamo “attenti all’ambiente”». A un’azienda recentemente convertita al bio, invece, chiedo il motivo di questa scelta: la risposta è una godibile excusatio non petita: «Ecco, chiariamo sùbito che noi non è che vogliamo cambiare il mondo…».

Il vino

Nel bicchiere, al soave non andrebbero chiesti bouquet esplosivi: può regalare semmai struttura, sapidità e un potenziale di invecchiamento ancora troppo misconosciuto. Eppure a fine giornata non mancano tra i miei appunti, specie per i vini cosiddetti “base”, note simili a queste: naso esuberante di pompelmo e maracuja, da sauvignon friulano, oppure: naso alsaziano (muscat). Miglior fortuna hanno i vini frutto di selezioni, quando però non sono monopolizzati dal sentore di legno, che non sembra trovare nel soave il suo compagno meglio assortito.

Ma se è vero che il vino si rivela pienamente in bocca, il soave possiede allora un potenziale di grande interesse, riconoscibile talora anche in vini dai profili olfattivi non esattamente “filologici”. Un motivo in più per continuare a seguire questo vino, specie nei suoi interpreti più fedeli, alcuni dei quali fanno parte di questa breve disamina degli assaggi migliori.


La degustazione

Aesthesis
Soave “Garganuda” 2015
Naso piacevole e semplice: appena fermentativo, sa di uva, con una sensazione lievemente arsa. In bocca è nervoso ma ha buona scorrevolezza. Chiude citrino. Andrà riassaggiato dopo ulteriore evoluzione in bottiglia (sembra ancora in fase embrionale).
(100% garganega da vigne di 40 anni in conversione biodinamica poste in collina nella zona di Montecchìa di Crosara, allevate a pergola; fermentazione spontanea con lieviti indigeni in acciaio, non filtrato né stabilizzato, sosta 7 mesi sulle fecce fini. Seconda annata prodotta).

Marco Mosconi
Soave “Corte Paradiso” 2014
In un’annata assai complicata, naso compatto, tutt’altro che generoso, frutta gialla a far capolino; bella materia dinamica, acidità ben integrata, chiusura ordinata.
(100% garganega, val d’Illasi, terreni alluvionali, vigne di 30 anni, acciaio)

Marco Mosconi
Soave “Rosetta” 2013
Il naso ha una dolcezza delicata che può far pensare a una leggera botrytizzazione. Bocca di personalità: tesa, fresca, piena, golosa. Chiude su toni amari eleganti.
(val d’Illasi ma vigne più alte e più vecchie, terroir marnoso-calcareo, solo acciaio)

Le Battistelle
Soave classico “Roccolo del Durlo” 2014
Bel naso di buccia d’uva e miele, appena effimero. Bocca ancora contratta, ma salata e di buona persistenza.
(vigne in collina nella zona classica, 2 giorni di macerazione)

I Stefanini
Soave classico superiore “Monte di Fice” 2015
Fiorito e balsamico, forse leggermente esibito, e non ancora del tutto in sesto (una punta d’alcol ancora non integrata). Bocca fresca e assai allungata, retroolfazione elegante e leggermente fumé.
(vigneto di 1 ha allevato a pergola, posto in cima a una collina, 100% garganega; solo acciaio)

Filippi
Soave “Castelcerino” 2015
Naso marino e pungente; bocca vibrante, calda, unica nel panorama della denominazione; l’acidità non è “accanto” alla materia, ma vi si fonde. Lungo.
(vigne di 45 anni a 400 mslm, in agricoltura biologica; terroir con sassi neri basaltici affioranti; 100% garganega; acciaio)

filippi_castelcerino

Filippi
Soave “Castelcerino drio casa” 2014
Naso leggermente lattico, vino meno ampio del precedente (effetto millesimo?) e con acidità più spiccata.
(particella di 1 ha, letteralmente “dietro casa”, isolata dal Castelcerino e vinificata in acciaio con sosta di 18 mesi sulle fecce fini; servito da magnum)

Filippi
Soave “Vigne della Brà” 2014
Il naso potrebbe evocare uno champagne fermo: mela verde, pietra focaia, lievito di birra. Bocca eclatante, con erbe, noce, mandorla in retro-olfazione.
(viti di 60 anni in un vigneto esposto a ovest, terroir con un po’ d’argilla. Acciaio, 18 mesi sur lie)

Filippi
Soave “Vigne della Brà” 2013
Ancora più materia e definizione ancora migliore del 2014. Lungo e profondo, è il vino della serata.

fogliani@possibiliaeditore.eu