(fotografia di © Samuel Cogliati)

di Samuel Cogliati

Sesto San Giovanni, 27 febbraio 2020

Il Coronavirus Covid-19 farà migliaia di morti nel mondo, ed è ovviamente una triste notizia. Tuttavia non mi pare l’elemento più rilevante della vicenda, che peraltro vicenda non è, bensì fatto storico. Ciò che stiamo vivendo da pochi giorni è un evento di portata epica – grande o piccola ce lo dirà il futuro –, destinato a trovare spazio nei libri.

Nei primissimi giorni dopo che il virus si è manifestato in Italia i toni sono stati quelli di una terrificante emergenza medico-sanitaria, in cui non si parlava di altro che di tamponi oro-faringei, termometri, decessi, mascherine e disinfettanti. In qualche ora si è iniziato a temere per l’isolamento, con relativi assalti ai supermercati, per rifornirsi di generi alimentari deputati ad affrontare settimane di quarantena. Poi sono emersi i critici sprezzanti e irridenti, anche tra i dotti opinionisti, che davano dei deficienti al popolo terrorizzato dagli organi di informazione e agli inetti governanti. Infine, è bastato qualche giorno di “ferie forzate” e di mancati incassi di aziende ed esercizi commerciali per aprire il capitolo della rovinosa crisi economico-occupazionale che ci attende, con un 2020 peggio del 2008 e del 1929 messi assieme. Tutto questo in meno di una settimana.

Se questa storia del Covid-19 lascerà verosimilmente tracce pesanti sia in termini sanitari sia economici, l’aspetto più demoralizzante è a mio avviso la mancanza di senso critico, analitico e di riflessione. L’epoca che viviamo ha senz’altro ritmi congestionati e convulsi, ma le vicende dell’Umanità, di cui questo evento fa parte, hanno sempre, inevitabilmente, tempi e stratificazioni più lenti e lunghe. Davvero una manciata di giorni di rallentamento generale può mettere in ginocchio l’economia di una nazione? Davvero i danni saranno irreversibili? Davvero l’Italia sarà penalizzata mentre il resto del mondo si fregherà le mani? Davvero è impensabile modificare le nostre abitudini consumistiche e mondane per qualche settimana?

Probabilmente un po’ di buon senso, di riflessione e di buona informazione, guidata dalla Scienza, ci direbbero che il virus toccherà presto tutto il pianeta – perché, come ha ben spiegato l’eminente virologa Ilaria Capua, è tecnicamente inevitabile e doveva essere previsto –, che occorre rispettare le indicazioni delle istituzioni, e non contestarle ogni minuto, che le conseguenze economiche si concateneranno con un effetto domino, che la crisi si espanderà e poi si riassorbirà, lasciando dietro di sé morti e feriti, reali e metaforici. E che tutto questo si svilupperà in un arco di mesi, forse di anni.

Allora la vera posta in gioco sarebbe cogliere questa straordinaria occasione – nell’accezione più restrittiva della locuzione – per ripensare tutto sul medio-lungo termine: ripensare i metodi di lavoro, riducendo una mobilità ipertrofica e usando gli strumenti tecnologici che permettono il lavoro a distanza; ripensare un’economia schizofrenica e la delocalizzazione sistematica delle attività produttive, che ci rendono del tutto dipendenti dalla sola Cina, o quasi; ripensare i metodi di (dis)informazione, che bruciano soldi e fanno danni con le loro false o imprecise “notizie” 24/7 (perché i media sono interessati alle notizie, non ai fatti); ripensare profondamente la carenza di tempo per il ragionamento, che ci porta ormai puntualmente a vedere subito solo una parte del problema, o falsi problemi, e a pretendere subito una risposta e una soluzione da una classe dirigente spesso impreparata, ma che anche ove fosse all’altezza della situazione non potrebbe fare miracoli né evitare errori in lassi di tempo così brevi.

La vera conseguenza di questa crisi, o forse solo la sua epifania, è la miseria culturale nella quale siamo precipitati, che ci ha reso consumatori passivi e manovrabili, anziché cittadini pensanti. Il punto di partenza, il cardine della risoluzione di questa impasse storica – storica perché esprime la condizione sociologica nella quale siamo piombati – sarebbe la filosofia. Ma le discipline umanistiche sono declassate a polverose elucubrazioni da topi di biblioteca, e nemmeno questa volta coglieremo l’opportunità di ripensarci. •

cogliati@possibiliaeditore.eu