di Samuel Cogliati Gorlier

• 20 febbraio 2024 •

Nonostante qualche concessione alle patinature commerciali, Past Lives di Celine Song è un film a suo modo sconvolgente.
È la storia che tutti vorremmo e che nessuno di noi vorrebbe per la propria vita.

Come in diversi film di sensibilità orientale, ci sono un’intensità e una delicatezza di sentimenti che colpiscono l’osservatore per la capacità di evitare quasi del tutto il contatto fisico, di vivere di profondità di sguardi e di silenzi.
Niente di così originale: Past Lives è sostanzialmente una storia d’amore, anzi la storia dell’amore. Non inventa nulla di straordinariamente innovativo né sorprendente, ma si tiene stretto a quei temi che l’Umanità porta con sé da sempre: amare ed essere riamati.

Questa pellicola però funziona a meraviglia perché contiene l’essenziale. L’infanzia e la nostalgia per quella tenera età perduta. L’impressione che ci sia, nell’esistenza di ciascuna e ciascuno, un amore predestinato che passa una volta sola e che bisogna afferrare. Oppure al quale, per uno dei molti motivi cui la vita ci costringe, occorre rinunciare. Lasciandoci nel cuore un rammarico tanto ingiustificabile quanto indelebile.

C’è poi la presa di distanza, quella frattura inevitabile che, prima o poi, l’esistenza impone proprio con l’infanzia e la parte di sogno che essa incarna, cui nessuno di noi sa rinunciare. Chi vi rinuncia mente, obbligandosi a una serietà e a un dovere idonei non tanto all’età adulta quanto alla vita in sé; oppure trascina con sé un dolore silente e indicibile; oppure ancora compie volutamente quel balzo salvifico che, proprio alla rottura, al taglio del cordone, deve la sua efficacia.

Quest’ultima opzione ci consente di crescere, vivere ed evitare di guardare indietro con nostalgia in un rimuginìo permanente, al contrario proiettandoci avanti e, così facendo, costruendo. Asciutto pragmatismo, certo, ma non solo: anche la sola soluzione in grado di trasformare in concretezza la trasognata inconcludenza della favola.

Permangono dunque, nella parabola complessa della vita, due poli: la realtà, o ciò che è, che coincide spesso e troppo prosaicamente con l’età adulta; e il sogno, o ciò che non è stato. Se trovare il proprio posto nella prima è doveroso e indispensabile, pena una frustrazione incessante, il secondo torna, volenti o nolenti, a pungolarci. Possiamo decidere di dargli ascolto, assegnadogli la funzione di uno stimolo.

Eppure anche in questo caso virtuoso, quella parte di dolore (qualcosa di più di una semplice malinconia) permane e vela per sempre il cuore. Il quale, come che stiano le cose, è vano pensare di ridurre al silenzio.

P. S.: di nuovo un’occasione perduta per azzeccare il giusto titolo: perché non tradurlo?

cogliati@possibiliaeditore.eu 

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