(fotografia © Samuel Cogliati)

Rosé Antiqué: in Franciacorta un audace metodo classico fuori dal coro. Ed è quasi buona la prima.

di Samuel Cogliati

giugno 2013

Se Aurelio Del Bono intendeva scegliere un percorso complicato, non ha sbagliato. Al di là dei luoghi comuni e delle mode – più che mai in agguato, in un mondo che per vendere deve stupire ogni giorno – il pinot meunier è e resta un vitigno difficile. Difficile da coltivare, difficile da esaltare in vinificazione. In Champagne – unica regione dove la sua presenza sia realmente significativa – sempre più vignaioli si arrischiano a produrlo “in purezza”, con qualche significativo buon risultato. Tentativi da incoraggiare, perché se non altro aumentano la varietà stilistica dello champagne. Ma in linea di massima paragonarne gli esiti con quelli dei vitigni “nobili” (pinot noir e chardonnay) rimane azzardato, se non improbo.

Casa Caterina, invece, si è accollata l’onere di sperimentare il pinot meunier in Franciacorta, dove questo vitigno nordico non ha tradizione né del resto è autorizzato dal disciplinare di produzione. Peraltro, il motivo principale della sua diffusione in Champagne sarebbe la sua resistenza alle gelate primaverili (e la sua maturazione precoce), anche se paga il dazio di un’acidità più contenuta. E l’acidità non è certo il punto di forza dei franciacorta.
Del Bono si è cimentato con la tipologia più difficile: il rosato, percorrendo per di più l’impervia via di un vino non dosato. Infine, per rendersi la vita ancor più complicata, ha scelto un lunghissimo affinamento (non certo prerogativa del pinot meunier): 111 mesi sui lieviti dopo la presa di spuma. Ma siccome tutto questo non bastava a insaporire la sfida, Aurelio ha voluto un vino millesimato – quindi senza il paracadute dell’assemblaggio verticale -, frutto di un’annata non facile, la 2002. Sulla carta, dunque, niente di più arduo per il nostro eroe, che naturalmente ha voluto dare al suo Vsq (Vino spumante di qualità, non potendo chiamarsi franciacorta) il timbro maturo ed evoluto che connota i metodi classici di Casa Caterina.

Il risultato, ad essere sinceri, non è completamente convincente, ma neppure privo d’interesse. Innanzi tutto, l’impronta del terroir franciacortino è rispettata, nei toni generosi e larghi. Riverita è anche l’identità del meunier, con il suo tono rustico. Finezza e bevibilità non sono però il punto forte di questo vino, che ha bisogno di aria per aprirsi, e di un po’ di pazienza per far fronte al profilo gustativo insistentemente amaro. Se tutto questo è il prezzo da pagare per la ricerca di un’originalità espressiva “altra”, comunque ben venga, in attesa della prossima annata di “Rosé Antiqué” (magari con un nome diverso, che si allontani dalla caricatura transalpina già infelicemente lanciata dal Satèn…).

Brut “Rosé Antiqué” metodo classico Casa Caterina 2002
Bellissimo colore fior di pesco con sfumature buccia di cipolla, pieno, omogeneo, vivace. Carbonica molto sottile.
Inizio abbastanza chiuso, su note carnose, di frutta scura (confettura di prugna) e una sfumatura speziata; generoso e caldo, molto “franciacorta”, con un tocco di caramello, prugne secche, e miele. Naso complessivamente evoluto ed etereo.
Impatto gustativo austero, duro tra acidità, lieve ossidazione e una sensazione amara molto pronunciata, di tarassaco. Ha un profilo molto asciutto, ma anche caloroso (alcol), non particolarmente fine, anche se robusto e deciso. Carbonica pungente, allungo gustativo severo, salino e acido, guidato da quest’amarezza un po’ vegetale sopra le righe.
Finale potente, con buona corrispondenza rispetto al naso. Chiude nuovamente amaro – alghe – e salato.
Vino molto austero e di difficile approccio, asciutto, e troppo amaro. Non elegantissimo, di stampo invecchiato (il nome è quanto meno ben motivato). Si apre abbastanza bene con l’aria e una temperatura meno bassa, dimostrando un certo carattere, ma senza slanci formidabili.
[pinot meunier 100% di Franciacorta; tiraggio 24/3/2003 ; sboccatura 21/6/2012; bottiglia n. 645 di 5.000]

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