Che cosa dice il successo di Elena Schlein alle primarie del Pd?

di Samuel Cogliati Gorlier

• 27 febbraio 2023 •

Il successo di Elena Schlein alle primarie del Partito Democratico, domenica 26 febbraio 2023 illustra a mio avviso alcuni fatti degni di nota.

1. Dopo l’ascesa al potere di Giorgia Meloni a settembre 2022, nel volgere di pochi mesi Elena Schlein è la seconda giovane donna ad accedere a un ruolo di responsabilità di primo piano nella vita politica nazionale. 45 anni la prima, 37 anni la seconda: l’Italia sdogana finalmente il genere femminile e la giovane età, mettendosi in linea con il mondo occidentale (Emmanuel Macron aveva 39 anni all’epoca della sua prima elezione, Barack Obama 47 quando vinse le presidenziali, Sanna Marin 34 quando prese le redini della Finlandia, ecc.).

2. È dunque ormai, gradualmente e inequivocabilmente, il tempo delle donne. Estromesse dalle decisioni rilevanti per millenni, muovono ora, sull’onda del mee too, verso un’emancipazione che non è solo femminismo, ma, almeno potenzialmente, una nuova stagione nella maniera di governare il mondo. A patto che le donne non si calino nel solco delle logiche di potere, supremazia e virilità che ha tracciato il genere maschile per secoli. Figure come Margaret Thatcher, Theresa May, Christine Lagarde o Ursula von der Leyen servono a poco in una logica di rinnovamento sensibile della visione del mondo.

3. Il paese si dimostra ancora una volta più avanti rispetto alla politica. O forse è meglio dire il contrario: la politica – che aveva optato per Bonaccini nelle primarie interne al Pd – dà di nuovo evidenza del clamoroso ritardo e scollamento che accusa rispetto alla mobilità e all’evoluzione della società civile.

4. Colei che ambisce a dare uno scossone alla sinistra italiana, svegliandola dal torpore autolesionista nel quale si è chiusa da anni, è una statunitense naturalizzata svizzera di origine ebraica aschenazita est-europea, ed è stata per un certo periodo esterna al Partito democratico, che ora avrà l’onere di guidare. Colei che dovrà verosimilmente capeggiare l’opposizione di sinistra italiana viene dunque “da fuori”, ed è figlia di una multiculturalità. Che sia un caso? Questo ci legittima a chiederci se l’Italia sia in grado di riformarsi “dall’interno”? •

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