(fotografia CC Sailing charter yacht Bavaria 46, Croatia)

di Samuel Cogliati

22 marzo 2021

Si sente ormai ogni giorno qualcuno dire che non ne può più, che rivuole la “normalità”, o addirittura che vuole “tornare alla vita”. In realtà la pandemia che stiamo vivendo, con i molti disagi che comporta, è la vita, certo non la vita che desidereremmo nel migliore dei mondi possibili, ma comunque assai più agevole della quotidianità di milioni, forse miliardi di persone nei territori più penalizzati del globo. 

La notizia è che non torneremo a nessuna “normalità”, se intendiamo la vita che facevamo prima della Covid-19.
Non vi torneremo perché, quando sarà rientrata la crisi sanitaria, ci confronteremo con gli effetti della crisi economica che ha generato, con la crisi sociale che ne è derivata, nonché con una crisi di cui si parla pochissimo: gli effetti psicologici (in vari casi addirittura psichiatrici) che tutto questo sta producendo sulla popolazione. Gli esperti avanzano previsioni sulla durata dei diversi aspetti di questa crisi globale: anni, forse decenni. 

Quel che non si racconta, o meglio: che viene silenziato dal sistema mediatico di massa, per comprensibili ma discutibili ragioni, è il séguito. Già, perché è decisivo ricordare che la pandemia di Covid-19 non sarà un evento isolato né tanto meno l’ultimo evento esplosivo su scala planetaria. Questa terribile pandemia non è sorta per caso né per strani complotti, ma per l’implosione di un sistema economico-finanziario e delle sue declinazioni demografiche, produttive, commerciali, industriali, climatiche, culturali (l’aspettativa che ciascuno di noi ha dalla propria quotidianità – ovvero poter consumare liberamente, arbitrariamente e indefinitamente). I decisori politici e soprattutto economici dicono che occorra tornare a crescere. Ma da decenni sappiamo che una crescita infinita è impossibile e deleteria in un pianeta finito.
Dopo la Covid-19 ci attendono altre sfide (di potrebbe dire “catastrofi”, ma vogliamo essere ottimisti) almeno altrettanto grandi, di natura climatica, dunque alimentare, dunque sociale, dunque migratoria, dunque politica, dunque militare, eccetera eccetera. 

Quando avanzo i miei argomenti su questa situazione e queste vaghe previsioni spesso le persone con cui parlo obiettano che allora non resta che impiccarsi e che tanto non c’è niente da fare. Niente affatto.
Non sono molti, ma se c’è un effetto benefico di questa crisi è la possibilità, anzi l’urgenza che ci ha dato, di riflettere sulla “normalità” di prima, non solo su scala globale e sociale, ma iniziando dalla nostra “normalità” quotidiana. E di progettare modifiche e interventi sul nostro futuro, partendo dalla nostra vita individuale. Non c’è più tempo: bisogna pensare, sì, ma subito dopo anche agire.
Che cosa vogliamo? Di che cosa abbiamo davvero bisogno? Che cosa, dove e come acquistiamo (e gettiamo)? A che cosa potremmo rinunciare? A che cosa vorremmo rinunciare? Perché continuare a privarci della felicità non perché sia irraggiungibile ma perché non vogliamo vederla?
A volerne vedere le prospettive, questa crisi è un’occasione straordinaria. • 

cogliati@possibiliaeditore.eu