(fotografia © Aerohod)

di Samuel Cogliati

17 ottobre 2020

José “Pepe” Mujica dice che il potere non cambia le persone, bensì ne rivela il vero volto. In modo analogo, questa pandemia di Covid-19 sta mostrando la natura strisciante della nostra società: disvela l’intelligenza o la stupidità dei cittadini, le loro paure o il loro coraggio, le loro duttilità o rigidità, la saggezza o l’impulsività.

Naturalmente non è in atto alcun complotto, nessun disegno nascosto, nessuna strategia di controllo del popolo. Ci sono stati, ci sono e ci saranno errori tecnici e politici, in buona o in cattiva fede, frutto di incompetenza, di impreparazione e di problemi strutturali. C’è anche chi approfitta della situazione per arricchirsi, speculare, tramare operazioni finanziarie, smantellamenti pretestuosi, delocalizzazioni, applicare rincari ingiustificati. Purtroppo è sempre successo nella storia dell’Umanità, dalle carestie alle guerre. Ma semmai questa crisi sta mettendo in luce quanto poco abbiamo investito e difeso, per decenni, servizi e istituzioni fondamentali, a iniziare dall’istruzione, dalla sanità e dai trasporti pubblici. Si è da tempo scelto di dirottare questi pilastri della società verso il privato, per permettere grossi arricchimenti. In tempi “normali” l’ingiustizia è stridente ma perlopiù sostenibile, a prezzo di pesanti sacrifici che accentuano le diseguaglianze; in tempi di emergenza il sistema implode.

Tuttavia ciò che più ancora impressiona è però l’individualismo che questa pandemia rivela. In realtà è logico: la perdita del senso della comunità è frutto di una società iper-liberista, in cui contano solo il denaro, il possesso, il godimento. Oggi emerge semplicemente ciò che siamo diventati in oltre mezzo secolo di capitalismo sfrenato. Il confinamento, ma anche privazioni più modeste, come le limitazioni nelle attività non essenziali, appaiono insopportabili a molti cittadini, a riprova che ha preso piede un’inversione nelle priorità personali: prima lo svago, poi il dovere. Certo, queste limitazioni sono un tragico problema per le attività economiche, che vanno sostenute con i fatti. Si può anche pensare che questi sacrifici sarebbero evitabili, se le istituzioni funzionassero meglio. Le recriminazioni verso lo Stato, la Regione, il Comune, l’Europa mostrano però una deprimente deresponsabilizzazione del singolo: ne avrei diritto e dunque pretendo. Solo che i diritti sono un’altra cosa, e implicano spesso un costo (le tasse, la disciplina civica, la partecipazione alla vita pubblica…), che sempre meno persone sembrano disposte a sopportare. Invece qui, a fronte di un grave evento storico come tanti altri passati, molti di noi additano e accusano di essere ingiustamente “privati della libertà”, come se la libertà fosse il diritto arbitrario di fare sempre ciò che si vuole, e non il diritto di esprimere il meglio di ciascuno limitatamente alla situazione, ai bisogni comuni e alla libertà degli altri. La libertà non è assenza di limiti.

Tutto questo non è sorprendente. Per gonfiare l’economia, la nostra società ha plasmato generazioni di consumatori – non di cittadini – convincendoli che tutto ciò che si vuole è possibile, subito, e che «tutto ruota intorno a te». Ora non c’è da stupirsi che molti di questi consumatori non sappiano o non vogliano accettare le frustrazioni dettate da un’emergenza storica, cercando invece uno o più colpevoli. 

I bene informati ci avevano avvertiti che sarebbe stata lunga. La crisi Covid-19 prima o poi passerà. Ma inizio a pensare che ci insegnerà poco o nulla. Dinanzi alla prossima emergenza (sociale: una migrazione di massa; climatica: una siccità o un’inondazione interminabile; alimentare: una penuria planetaria; economica: una spirale finanziaria senza fine; ecologica: un picco di inquinamento letale…) saremo di nuovo impreparati. Questa pandemia è il primo di una serie di eventi di enormi proporzioni che colpiranno il pianeta: è inevitabile, ne abbiamo accuratamente costruito i presupposti. Ma noi insistiamo a non capire che un ritorno alla situazione pre-Covid è impossibile e dannoso. Prima che un problema di mezzi e di competenze, questa faccenda è un problema di cultura e mentalità. • 

cogliati@possibiliaeditore.eu