di Giorgio Fogliani

• Beaune, marzo 2024 •

Ai Grands Jours de Bourgogne [1] 2024 si assaggia l’annata 2022, si aspetta la 2023 e qualcuno forse rimpiange la 2021

La Borgogna è entrata in una spirale di millesimi caldi e asciutti che ha tutta l’aria di essere la sua nuova normalità. Nell’ultimo lustro, solo la 2021 ha i connotati di una stagione non torrida, ma a prezzo di gelate che hanno ridotto la produzione del 33% sulla media del quinquennio [2] (ma con perdite localmente assai più gravi). Quel calo non ha fatto che aumentare il delta tra domanda e offerta, intensificando una tendenza già  in atto da tempo: i prezzi dei vini borgogna continuano a salire e la regione è sempre più percepita come esclusiva, distante, inarrivabile.

L’Asia, ma fino a quando?

A questa crescita, come sanno bene gli addetti ai lavori, ha contribuito largamente l’impennata del mercato asiatico, che nel 2023 ha registrato un +61% sulla media decennale. Un primo interesse di questi mercati per la Borgogna, racconta un esperto vignaiolo di Chagny in Côte de Beaune, si era palesato a fine anni ’80: si era vista un’ondata di ordini voluminosa, ma forse per via di una cultura del vino ancora incerta i container con le bottiglie erano rimasti per settimane a prendere il sole sulle banchine dei porti asiatici, con conseguente deterioramento dei vini e un immediato, prolungato raffreddarsi dell’interesse.

Trent’anni dopo l’approccio si è fatto più selettivo: i ricchi collezionisti cinesi, giapponesi, coreani, di Hong Kong e Singapore hanno messo nel proprio radar le bottiglie più costose della regione, e anche quest’anno affollavano soprattutto il salone dello Château de Vougeot, il più esclusivo dei Grands Jours, quello che ospita i vini di Vosne, Vougeot e Flagey e i relativi, iconici Grand cru. L’Asia rappresenta il 13% dei volumi esportati dalla Borgogna, ma il 22% del giro d’affari.

Una certa inquietudine inizia però a serpeggiare tra i produttori e una certa speranza tra i buyer europei. La corsa asiatica, per ragioni congiunturali di contesto politico-economico internazionale, starebbe rallentando: se si guarda il micro-trend 2023 / 2022 si scopre che l’export cinese è crollato: –16,6% in volume, –15,2% in valore, Taiwan –20,8% e –10,5%, Corea del Sud –18,9% e –6,3%; stabile Hong Kong, controverso il Giappone (–11% in volumi e +1,4% in valore), che è il terzo mercato in assoluto per la Borgogna (9% di tutto il giro d’affari), mentre la Tailandia, in controtendenza, aumenta significativamente i volumi acquistati (+23,4%) ma perde in valore (–2,1%: è però un attore più che marginale, che pesa appena per lo 0,4%).

Spostandoci in un Oriente più vicino e assai diverso, anche gli Emirati Arabi sembrano ritirarsi un po’ dalla corsa all’oro borgognone (–25,3% in volume e –6% in valore). 

(foto © Giorgio Fogliani)

Giro di boa?

Ma è l’export in generale che sembra iniziare a contrarsi: dopo una crescita costante dal 2009 al 2021 (anno eccezionale per via del cosiddetto “rimbalzo” post-Covid19), il 2022 è tornato ai livelli pre-pandemici e il 2023 segna un –6% in volume (–0,3% in valore) sul 2022, benché in linea con la media decennale. USA e Regno Unito, i primi due mercati per la Borgogna, diminuiscono del 5,7% e del 4,6% i volumi (stabile il valore), mentre il Canada (settimo posto) addirittura del 14%! Le cose non vanno bene nemmeno in Germania, Svezia, Paesi Bassi e Lussemburgo. Chi invece non sembra sentire alcun tipo di disamore è proprio l’Italia, che ha aumentato del 13,3% i volumi importati e del 20,9% il valore.

Potrebbe essere un semplice incidente di percorso – niente fluttua come il mercato – ma se così non fosse, se si trattasse cioè di una tendenza destinata a proseguire, la Borgogna si troverebbe a dover fronteggiare contemporaneamente una riduzione dell’export e una vendemmia eccezionalmente abbondante: la 2023, infatti, ha fatto registrare un +29% di produzione rispetto alla media quinquennale (gli aumenti più rilevanti riguardano Chablis, +19% sul 2022, e l’Aop Crémant de Bourgogne +32%), non proprio lo scenario ideale se si pensa che il mercato, lo abbiamo visto, rinuncia più volentieri al volume che al valore, cioè che sono le bottiglie meno pregiate a soffrire di più (un’altra spia: sul mercato interno i borgogna si vendono sempre meno in grande distribuzione e sempre di più sugli altri canali).

Sarebbe sbrigativo concludere che il complesso mercato borgognone si stia raffreddando, anche se qualcuno inizia a scommetterci: «Non si può tirare la corda dei prezzi per sempre – mi confida un agente e broker francese – altrimenti si finisce per ritrovarsi tra qualche anno con i magazzini pieni, come a Bordeaux; non parlo dei grandi nomi, che non soffriranno mai, ma delle aziende di medio calibro». •

Leggi la seconda parte 


[1] Il salone biennale in cui la Borgogna presenta i propri vini ai professionisti del settore.

[2] Qui e altrove: dati del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (Bivb).

fogliani@possibiliaeditore.eu