di Samuel Cogliati

• 20 aprile 2022 • 

“Tra due mondi”, il film di Emmanuel Carrère, mi pare un buon lavoro sul piano cinematografico. A tratti un poco caricaturale – perché tende a condensare molti veri e credibili luoghi comuni –, affronta però un tema che troppo raramente viene indagato: la profonda frattura della nostra società, tra chi è “dentro”, magari a fatica, ma comunque dentro, e chi è “fuori”, spesso irrimediabilmente, definitivamente fuori. E fuori rimane tagliato al di là e a prescindere dai propri mezzi, dai propri meriti, dagli eventuali aiuti e sostegni esterni. 

Questa frattura è una scissione di mezzi economici, di “ascensori sociali” bloccati e in panne, certo, ma soprattutto diventa ogni giorno sempre più una cesura psicologica e culturale, e per questo motivo non più ricomponibile. La Francia – in cui è ambientato il film –, con un sesto della popolazione in povertà, ne è un esempio (de)flagrante. 

Ciò che rimane più di tutto, dopo l’incisione della visione del lungometraggio, è l’agghiacciante presa di coscienza della profonda malattia della nostra società. Composta per una parte da un “mondo” sfruttato, umiliato e nascosto, che “lavora” in condizioni al limite della disumanità affinché l’altra parte goda dei privilegi che un’equità sociale non potrebbe permettere (né economicamente né eticamente). E ciononostante, la parte “fortunata” della nostra società, coperta dal “benessere” economico o alla rincorsa spasmodica di questo privilegio, non riesce comunque a essere felice. 
Due mondi, in pratica, che fanno corto circuito in uno solo, che sta implodendo. • 

(La locandina italiana)

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