di Samuel Cogliati Gorlier

• 11 gennaio 2024 •

Perfect Days contiene ciò che si deve sapere sulla vita, sulla morte, sulla felicità. Parla con un linguaggio occidentale di una consapevolezza sull’esistenza che probabilmente solo gli Orientali hanno raggiunto. 

Una densità semantica e poetica molto elevata: il film di Win Wenders è apparentemente fatto di dettagli. Solo che ogni dettaglio ha significato. 

Hirayama (Koji Yakusho) ha compreso ciò che importa per essere felice.
Dormire bene.
Guardare il cielo. Godere dei particolari.
Concentrarsi sul benessere che la mente e il corpo dettano a chi sa ascoltare: andare piano, accordare tempo a ciò che ci piace fare.
Occuparsi degli altri e di ciò che ci circonda (Hirayama ha scelto le piante, ma accorda una semplice generosità con chi gli è intorno o entra nella sua vita, anche quando non invitato).
La musica.
Il silenzio.
La calma.
La lettura.
Lavorare con cura e coinvolgimento, qualunque cosa si faccia. 
Fare valere i propri diritti e proteggere il proprio mondo.
Il perdono.
Prendersi le proprie responsabilità. 

Il rispetto.
Gli affetti.
Ascoltare le emozioni. 

Possedere pochi oggetti.
Curare il corpo.
Curare lo spirito. 

Ogni notte i suoi sogni ripercorrono la giornata, tracciando in poesia una sorta di bilancio.

Poi alcuni avvenimenti irrompono nella vita di Hirayama, la destabilizzano, incrinano il suo equilibrio solido ma fragile. Hirayama non ci può fare nulla. Si scompone. Non riesce a evitare che le emozioni, sino ad allora gestite con serenità, prendano il sopravvento. Allora chiede aiuto a una sostanza esogena: beve due birre, prova a fumare. 

La malattia e la morte di una persona incontrata per caso lo illuminano: «Si finisce di vivere senza sapere niente». Già, ma «se le cose non cambiassero mai sarebbe tutto assurdo». Bisogna lasciare scorrere via anche quei baluginii di luce che la macchina fotografica tenta di fissare una volta per tutte. 

Hirayama ritrova il suo equilibrio, la sua quotidianità, fatta di gesti silenziosi, di soddisfazioni esili, di molti sorrisi, di piccole complicità. Quella quotidianità in cui «un’altra volta è un’altra volta; adesso è adesso». Sì, Hirayama ha capito tutto, e ce lo dice. Lo dice con generosità a chiunque voglia intendere. In modo aperto e piano. 

A prima vista tutto è mistero in Perfect Days. Ma in realtà è il contrario: non c’è alcun mistero. Sì è sì. No è no. Non lo so è non lo so. Basta guardare, basta ascoltare. La vita è complessa e inafferrabile. Occorre affrontarla con semplicità. 

Grazie Hirayama. •

cogliati@possibiliaeditore.eu