La vittoria di Donald Trump è pura logica

di Samuel Cogliati

novembre 2016

La vittoria – più che l’elezione, che ne è solo un’involontaria conseguenza – di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane è puramente logica. D’altra parte, ero già d’accordo con coloro che, prima del voto, sostenevano che, comunque fosse andata, Trump avesse già vinto. Il magnate, e ora presidente, aveva infatti scardinato tutto ciò che rimaneva di un codice culturale datato, residuo del progresso civico del XX secolo, e fondato sull’idea, se non nei fatti, che l’Altro meriti rispetto come presupposto della convivenza civile di una comunità. Il candidato repubblicano ha disintegrato questo tabù, facendo gradualmente ma rapidamente passare l’idea che ciò che conta sono i risultati, la soddisfazione personale, il raggiungimento di uno scopo. 

Trump è l’icona e l’incarnazione – come già, vent’anni prima di lui, in tono minore, Berlusconi – del successo individuale come sostituto immaginario di un successo collettivo. Trump esibisce (e talora dice apertamente) questo concetto: “Mi vedete, io sono ciò che volete essere anche voi (non importa se non lo sarete mai). Poco importa se, per diventarlo, occorre calpestare tutto e tutti, qualunque forma di correttezza. La correttezza è roba del passato”. Durante la campagna elettorale, lo aveva spiegato abbastanza bene anche il pistolero Clint Eastwood: “Trump dice un sacco di stupidate, ma lo voterò, perché ha il coraggio di dire ciò che pensa”. E si tratta esattamente di questo: l’altro messaggio del neo-presidente è che, per quanto riprovevoli o rudimentali siano i miei pensieri, le mie convinzioni, i miei fantasmi, non ho motivo di vergognarmene, né dunque di tacerli. Trump è l’immagine perfetta del XXI secolo, che ti dà del tu chiunque tu sia, che fa a pugni davanti a un grande magazzino per essere il primo ad acquistare il nuovo iPhone che non può permettersi, che lascia alla porta, ignorandoli, bambini, donne e uomini venuti da paesi vicini, che stanno morendo di fame.

La vittoria di Donald Trump è il nuovo capitolo di una catastrofe che si sta realizzando a grandi passi (a proposito: ha sempre avvertito che non rispetterà l’accordo di Parigi sulla Cop21 per la riduzione delle emissioni inquinanti). Ne era stata un’avvisaglia la trucida repressione di qualunque protesta democratica greca, nel 2014; ne è stata la pietra fondante la Brexit; nel frattempo si era fisicamente iniziata a materializzare con la recinzione ungherese al confine Serbo. 
Ora si apre la via a un ballottaggio Sarkozy-Le Pen alle prossime presidenziali francesi, e viene da ridere a pensare a un futuro incontro al vertice mondiale Putin-Trump-Erdogan-Orbán-Le Pen-Duda-Assad… Sono aperte le scommesse su chi attaccherà per primo la Polonia con tre dadi. Good morning! 

(Donald Trump nel 1964 – fotografia dominio pubblico)
(Donald Trump nel 1964 – fotografia dominio pubblico)

cogliati@possibilia.eu