Ciclismo: ai primordi dell’epica “sporca” di un mestiere. 
Henri Pélissier, il campione che amava essere odiato.

di Simone Basso*

«Ci trattano come bestie sul campo della fiera»
Nella figura controversa di Henri Pélissier (1889-1935) possiamo leggere le viscere del primo Novecento sportivo e scoprire la nostra infatuazione per quel mestiere crudele che si chiama ciclismo. Plume fu talmente personaggio da rappresentare, da solo, tutta l’epica “sporca” di un rito; ebbe una carriera pari alla vita, cioè esagerata e improbabile. Tanto da far pensare che, nell’essenza tormentata di quella Francia, fosse la trasposizione in carne e ossa di uno dei protagonisti bastardi dei romanzi di Céline. Campionissimo anomalo e bizzarro, anticipò tutti i temi, gli splendori e le miserie dello sport professionistico di cui fu profeta inconsapevole.

Nulla è semplice nel viaggio di Henri, mutante iconoclasta per vocazione: iniziò la sua odissea a sedici anni, cacciato di casa dal padre. I Pélissier, allevatori di bestiame e produttori di latte, in una fattoria ai limiti della sopravvivenza nell’Auvergne, si trasferirono a Parigi per scappare dalla miseria. Fu proprio la bicicletta, mezzo di lavoro per le consegne mattutine, lo strumento per sfuggire a quel destino e la ragione principale dell’allontanamento di Henri dalla dimora paterna. Se Francis e Charles seguiranno con successo le orme del primogenito, Jean (il secondo dei quattro fratelli) non mostrò mai interesse verso il ciclismo, malgrado una vigoria insita nel codice genetico dei Pélissier, che ne fece un contadino stakanovista, dalla forza impressionante. Henri invece, ancora giovanissimo, fu soprannominato Ficelle (“spago”, ma anche il pane francese più sottile…) per la sua magrezza; caratteristica che si accompagnò a doti atletiche straordinarie, moderne, che ancora oggi ne farebbero un campione. La Piuma – ecco spiegato l’altro nomignolo – fu precursore anche in questo: a un cuore eccezionale unì gambe lunghe e affusolate, che gli consentirono uno stile di pedalata unico, a dispetto di strade infami e mezzi meccanici arcaici pesantissimi. Elegante malgrado le fatiche omeriche di quell’era pionieristica, si distanziò quindi dallo stereotipo del “ciclista scorfano”.

Che potesse diventare un fuoriclasse lo capì per primo il leggendario Lucien Petit- Breton: l’Immortale che passò il testimone del califfato a Pélissier, contraddistinse l’epoca antecedente aggiudicandosi le gare più prestigiose del calendario di inizio secolo. L’incontro, talmente casuale da far pensare a un segnale del fato, avvenne il dì di Ferragosto del 1911. La proposta, che cambiò definitivamente l’esistenza di Henri, fu di accompagnare in Italia l’argentino (Lucien Mazan, il suo vero nome, cominciò l’agonismo da emigrante in Sudamerica) per una serie di corse. Sceso dal treno a Milano, Plume salì nell’empireo della pedivella.
L’Italia fu importantissima per Pélissier: nel Belpaese si affermò subito, esibendo quelle caratteristiche (tecniche e comportamentali) che lo resero un divo. La tumultuosa e controversa affermazione al Giro di Lombardia 1911 inaugurò la sua rivalità con Costante Girardengo, il primo campionissimo della storia di BiciItalia. Un duello perfetto perché contrappose due atleti completamente diversi: aggressivo e spavaldo il francese, attendista e implacabile “l’omino” di Novi Ligure. Ne nacque l’archetipo di riferimento di tutti i duelli futuri. Anche perché Henri, lunatico e dal carattere volatile, si prestò sempre alla bisogna: preannunciò diverse volte le sue vittorie e mantenne la promesse, instaurò un conflitto permanente con l’intero scibile umano (colleghi, giornalisti, organizzatori, folla) e amò essere odiato.

L’altro nemico storico sui pedali fu Philippe Thijs, straordinario rouleur belga. Pélissier divenne Pélissier grazie al Tour 1914 e alla sua sfida con l’uomo di Anderlecht; quella Grande Boucle incrociò la sua storia con un avvenimento epocale del Secolo Breve: il via infatti fu dato il 28 giugno, la mattina dell’attentato di Gavrilo Princip che uccise l’arciduca ereditario d’Austria e sua moglie, la duchessa di Hohenberg. La partenza della Grande Boucle coincise dunque con l’inizio della Grande Guerra… Plume si sentì deufradato di una vittoria certa: le polemiche infuriarono dopo l’epilogo della frazione di Dunkerque. Successe che Thijs, a poco dal traguardo, ruppe la forcella. Quel ciclismo primitivo non permetteva per regolamento l’assistenza tecnica, ma il belga chiese aiuto a un negozio di biciclette sulla strada (!) e, penalizzato dalla giuria di trenta minuti, riuscì a salvare la maglia gialla per meno di due primi. Pélissier, che durante quella frazione fu pure ostacolato da un gruppo di facinorosi, chiese invano la squalifica dell’avversario e cominciò un contenzioso con l’inventore e patron del Tour, Monsieur Henri Desgrange.
I botta e risposta tra i due, velenosissimi, divennero la prima forma di promozione dello sport oltre il fatto agonistico: Plume, primula rossa autentica, rivoluzionò i parametri dell’atleta professionista, con lui finalmente anche essere parlante e dialogante. Stabilì un rapporto diretto con i media di allora e divenne personaggio a tutto campo, al di fuori della retorica fangosa e fachiresca del ciclista poverocristo.

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Henri Pélissier in una cartolina d’epoca

Il carteggio infinito con Desgrange, contestato nel corso degli anni in maniera quasi sprezzante, fu anche un gioco delle parti: regalò un’esposizione mediatica mai verificatasi prima e nemmeno presa in considerazione. Il direttore lo apostrofò in maniera a dir poco variopinta: «Pélissier può vincere tutte le corse tranne il Tour… Un campione arrogante e presuntuoso… Baciato dalla classe ma incapace di soffrire». Anche da questo punto di vista, i due esplorarono un territorio vergine, anticipando tutto l’immaginario dello sport professionistico moderno. Henri, superomista a cavallo del suo trabiccolo di acciaio, sarebbe piaciuto tanto a Nietzsche: «Gli altri sono cavalli da tiro, io un purosangue».
Il giorno dopo questa boutade forò e il gruppo si coalizzò per non farlo rientrare: lui e il fratello Francis furono lasciati a trenta minuti di distacco.

Primissimo sindacalista della pedivella, contestò aspramente il trattamento inumano degli organizzatori che, oltre il sadismo, imposero regole assurde ai corridori. Durante il Tour si arrivò a controllare le razioni di cibo (!) per consentire lo stesso quantitativo a tutti i partecipanti: Plume fu il contestatore, isolato, di quella mentalità retrograda: «Ci trattano come bestie sul campo della fiera», protestava.
Creò anche il primo sindacato ciclisti, ma ebbe pochissimo sostegno da parte dei colleghi: d’altronde, il Baobab fu tale anche per la diffidenza dell’ambiente, visti i pessimi rapporti con l’intera umanità di questo Zeno Cosini di origini umili…
Nel 1920 la sua abiura più clamorosa della corsa francese: in condizioni meteorologiche proibitive, meditò il ritiro durante la terza tappa ma sulla strada verso Brest, a Morlaix, scoprì di non avere abbastanza franchi per il treno. Così, con Eugène Christophe, risalì la corsa per “scaldarsi”; raggiunto il plotone di testa, decise di vincere la tappa ed eseguì la formalità con una volata impeccabile. Allora programmò beffardo il rientro a casa dopo la quarta tappa, Brest-Les Sables d’Olonne (lunga 412 km), nella quale naturalmente si impose in bello stile… Per il travaso di bile di Henri Desgrange.

Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie.
(Giuseppe Ungaretti)

Venne la tragedia bellica e l’Europa si trasformò in una tomba a cielo aperto; i ciclisti, anche i campioni, partirono per il fronte e morirono. Scomparvero Jean Pélissier e Lucien Petit-Breton, il maestro di Plume. Carlo Oriani, vincitore del Giro d’Italia 1913, fu stroncato da una polmonite contratta attraversando più volte, a nuoto, il Tagliamento per salvare i commilitoni: spirò in un ospedale di Caserta. Francois Faber, il gigante lussemburghese emigrato a Colombes che dominò un Tour, si arruolò nella legione straniera francese e cadde al fronte, durante la battaglia di Artois. La Grande Guerra fece anche una strage di corridori: Lapize, Hourlier, Wattelier, Friol, Boillot, Engel, Cadolle… Furono commemorati il 20 aprile 1919 alla partenza della Parigi-Roubaix, la prima edizione dopo il massacro. La gara si disputò in uno scenario spettrale, di devastazione e morte: i partecipanti dovettero montare pneumatici di seicento grammi, per via delle strade demolite e fatiscenti. In un clima irreale, apocalittico, sottolineato da una cappa invernale di nuvole, si provò a correre e, puntuali, ritornarono Pélissier e Thijs. Nel Velodromo, Henri precedette Philippe allo sprint: per un attimo infinito, osservando le lacrime del belga battuto, il pubblico si dimenticò di quegli anni di sangue e distruzione. La magia del ciclismo alberga proprio in questo: porta sulle strade una metafora cruda, che sembra lo specchio della vita di tutti.

*Simone Basso tra le troppe cose che fa per sopravvivere è un cantante, aka Enomìsossab, ed ogni tanto scrive di sport e di musica…


Il palmares di Henri Pélissier
Henri Pélissier colse i primi successi agonistici nel 1910. In quell’anno vinse Parigi-Le Havre, la Parigi-Paris Plage e si classificò terzo tra i corridori indipendenti al Tour de France (vincendo una tappa).
Nel 1911 vinse in Italia: il Giro di Lombardia, la Milano-Torino e la Firenze- Torino-Roma.
Nel 1912 vinse la Milano-Sanremo e fu terzo al Giro del Belgio.
Nel 1913 bissò il Giro di Lombardia e vinse una tappa al Tour de France.
Nel 1914 si classificò secondo al Tour, vincendo tre tappe.
Nel 1917 vinse la Trouville-Parigi e arrivò secondo al Giro di Lombardia.
Nel 1919 si laureò Campione di Francia e vinse: Parigi-Roubaix, Bordeaux- Parigi, Circuito del Morvan, GP della Loira e una tappa al Tour.
Nel 1920 vinse molto: Parigi-Bruxelles, Giro di Lombardia, Parigi-Metz, Petit Circuit des Champs de Bataille, GP della Loira, GP dell’Armistizio, Challenge de Paris, Côte du Mont Agel e due tappe al Tour de France.
Nel 1921: Parigi-Roubaix e Côte du Mont Agel.
Nel 1922: Parigi-Tour, Parigi-Nancy, Circuit de Paris, Côte du Mont Agel.
Nel 1923 si aggiudicò finalmente il Tour de France, vincendo anche tre tappe e strappando la maglia gialla a Bottecchia proprio all’ultima tappa.
Nel 1924 vinse la Parigi-Chauny e il GP Automoto di Rouen.
Nel 1925 nessuna vittoria assoluta, ma un quarto posto alla Parigi-Roubaix.
Nel 1926, giunse sesto alla Parigi-Roubaix.
In tutto, abbandonò sette volte il Tour.


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