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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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foto di Paolo Tedeschi
Viaggiare in Guatemala

Ecce omnibus
Da Panajachel a Chichicastenango sotto il temporale e in compagnia della pecora bagnata alla fragola.

di Paolo Tedeschi

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Nella piccola città di Chichicastenango la domenica si svolge il più grande mercato del Guatemala e forse dell'intero Centro America. Da tutto il Paese partono mezzi per raggiungerlo. Una buona tappa intermedia è Panajachel, maggiore centro abitato sulle rive del lago Atitlan. Da qui, si impiega circa un'ora di pullman per arrivare al mercato. Le numerose agenzie viaggio si occupano di organizzare i trasferimenti. Solitamente, è proprio a una di queste che si fissa un meeting point da cui parte il mezzo.
Ci sono pullman da 50 posti, minibus da circa 12 persone e le auto private messe a disposizione da guesthouse o alberghi. Il loro costo si aggira attorno ai 50 quetzales per la sola andata, poco meno di 5 euro. Un po' più caro rispetto agli altri trasferimenti nel Paese. Ma la gente del posto non utilizza nessuno di questi mezzi.

Le prime partenze avvengono dopo le 7 del mattino e alle 8 le strade di Panajachel si sono già svuotate. Gli unici guatemaltechi sono gli autisti e chi coordina i trasferimenti. Chi intende raggiungere il famoso mercato è già salpato. Chi tarda, e magari non ha prenotato, rischia di restare in città. Le speranze residue risiedono nelle auto private, solitamente bianchi fuoristrada da sei posti. Ma occorre avere fortuna per trovare un posto libero e un autista propenso ad accogliere qualcuno non preventivato a bordo.
Questi vacanzieri non si sognano di prendere i mezzi di trasporto locali. Che senso avrebbe alzarsi così presto per impiegare tre ore di trasferimento, quando può bastarne una? Il tempo di cui dispone un viaggiatore proveniente da lontane regioni del globo è limitato. La giornata può essere impiegata per visitare altri luoghi ricchi di fascino sull'incantevole lago vulcanico Atitlan e la gita rinviata al giorno seguente.
Un'ora dopo, Panajachel si risveglia una seconda volta. Il viaggiatore dal passo frettoloso con scarpe da trekking e vestiti tecnici, sacchetto con panini, frutta e l'immancabile bottiglia d'acqua sigillata, non c'è più. Lascia il posto a soggetti con lo stesso abbigliamento da Indiana Jones, ma questa volta intenti a passeggiare, non a correre. Anche il packet lunch è sostituito da un sostanzioso American breakfast nei chioschi ai lati della strada.
Chi è partito per Chichi, tra curve e salite mozzafiato, arriva dopo un'ora. Il viaggio di ritorno verso Panajachel non ha orari e per un turista viverlo sui mezzi locali può trasformarsi in un'avventura. “Panajachel... Guatemala... Sacapulas”! Gli autisti dei pullman scassoni che urlano sempre con la stessa cantilena, avvisano della partenza. Molti mezzi sono colorati in modo differente tra loro. Una grossa fetta della popolazione è priva di istruzione, quindi le grida chiarificatrici e il colore dei mezzi facilitano il riconoscimento del pullman. Quello che porta a Panajachel è un autobus della Linea Dorada. Tutto giallo, famoso ormai anche per il soprannome di "chicken bus”, è esattamente quello utilizzato come scuolabus negli Stati Uniti. In attesa di partire, le strade pullulano di persone del posto. Ma come avviene di mattina, anche il ritorno verso il proprio alloggio, hotel o casa che sia, segna grosse differenze tra il modo di viaggiare dei locali e quello degli "occidentali".
I turisti, bene organizzati, a metà pomeriggio raggiungono i propri mezzi nei punti di raccolta all'orario prestabilito. Il mercato inizia a svuotarsi. Cade anche qualche goccia. Adesso chi corre non indossa più scarponi e zaino in spalla, ma veste huipili. C'è chi ha comprato e chi ha venduto, ma ciascuno si affretta sperando di non bagnarsi troppo con la propria mercanzia. Il bus giallo fermo alla fermata attende qualche minuto prima di partire. Bastano pochi quetzales per salire a bordo. Il cielo non promette nulla di buono. È impressionante la puntualità con cui i temporali ogni giorno si abbattono su questa terra. Tutti affluiscono dagli stretti vicoli poco alla volta. Si parte. Dopo nemmeno 50 metri la prima fermata. Il conducente attende anche venti minuti con le porte aperte. In un attimo la pioggerella si trasforma in vera pioggia. Riparte, ma dopo poche centinaia di metri si riferma: raccoglie gente da angoli sparsi del mercato. La pioggia ora è un diluvio. A ogni fermata qualcuno sempre più inzuppato sale a bordo. Soprattutto donne meticcie piuttosto minute di statura. Nessuno ha di che coprirsi, se non ceste o sacconi con la merce acquistata o invenduta. Eppure il cielo non fa sorprese: tutti i giorni alla stessa ora riserva sempre il medesimo trattamento. La tuniche huipile, i costumi locali tessuti a mano di mille colori e sfumature, sono impregnati d'acqua e scurscono.
Il pullman prosegue la corsa. Impiega più di mezz'ora per uscire da Chichi. Fa molte soste. Si ferma anche dove non ci sono pali o cartelli che indichino una fermata. Nessuno, madido d'acqua, salendo i gradini e accedendo al mezzo, nega un sorriso al conducente e a chi gli sta a fianco. Timido, come l'umiltà che contraddistingue questo popolo, ma sempre un sorriso. Sembra un gesto distensivo per la pace ritrovata, ora che si è protetti sotto un tetto. Ma anche un ringraziamento per essere stati “soccorsi” in mezzo al diluvio. Al tempo stesso, questa reciprocità è confortante: tutti coloro che affollano le porte grondano acqua alla stessa maniera. Ci si riconosce.

Il bus ora è strapieno. Non solo nel corridoio, ma anche all'ingresso dove molti hanno lasciato la propria ingombrante mercanzia, cercando all'interno un posto di fortuna. C'è chi si adatta in piedi, bene aggrappato, chi stretto nei piccoli sedili doppi, chi su una cesta o un secchio. Chiunque possa, si stringe offrendo un angolo all'ultimo arrivato. Un conforto reciproco non sempre suggellato dalle parole.
L'autista coglie lo spirito positivo del suo equipaggio e lo trasforma in festa, sintonizzando la radio e alzando la musica a tutto volume. I passeggeri sono tutti colorati e bagnati. I bimbi più piccoli sono avvolti in tessuti fatti a mano sulle spalle delle mamme. Non sembra proprio che gli indios in Guatemala siano solo il 60% della popolazione.
In salita il bus fatica. Si scalano le marce e il motore ruggisce. Dal tubo di scappamento esce un pesante fumo nero. Da una stradina laterale molto ripida si riversa sulla strada una cascata di acqua piovana fangosa. Chi sta al volante è coadiuvato nella gestione del mezzo da due figure molto attive: uno tira la corda che fa suonare il clacson, si occupa dei biglietti e favorisce la discesa delle persone in slalom fra ceste e prodotti vari. Coordina poi gli oggetti e le persone come tessere di un puzzle. L'altro urla avvisando che il veicolo riparte. Ma non solo. Ha un compito delicato: salire sul tetto per depositare i pacchi più voluminosi. Questo ragazzo-scimmia calza delle ciabatte e sempre con il mezzo in movimento rientra dalla porta aperta sotto una pioggia battente. Ma fa il suo ingresso anche dal finestrino. Un po' per cabaret che diverte molto il suo pubblico di passeggeri, un po' perché tra sali e scendi, si forma spesso davanti alla porta un muro umano. Più ancora dei bambini, questo sipariettodiverte le mamme.
Il bus puzza di pecora e del torbido fumo proveniente dal tubo di scappamento. Negli ultimi sedili c'è qualche donna che usa un pezzo di stoffa per coprirsi naso e bocca. I turisti sono pochi e nei primi posti. Dietro di loro siedono due signore con tre bambini. A ogni trovata bizzarra di uno degli assistenti del conducente ridono di gusto e bisbigliano tra loro con complicità. I piccoli in grembo saltellano con le risate materne. Uno di questi, assorto nei suoi pensieri, involontariamente gioca a fare bollicine con la saliva. Si desta dal trance quando un turista offre delle caramelle a lui e agli altri due bambini. Inevitabilmente, tra bocche aperte e occhi sbarrati di bimbi interessati all'argomento, sono serviti tutti i piccoli delle prime file. Dall'odore di pecora bagnata, nell'abitacolo si passa a quello di pecora bagnata alla fragola.

L'autista continua la corsa serenamente in mezzo al diluvio. I lampi illuminano il cielo e squarciano il buio surreale del pomeriggio. Si sale entrando in una coltre di nebbia tra 2.400 e 3.000 metri. Da qui, dopo quasi due ore di viaggio si dovrebbe godere di uno spettacolo unico: la valle da cui emergono i pendii e i coni vulcanici che superano 3.500 metri. Anche i vetri sono appannati. Qualche bimbo sfrutta la sua fantasia producendo disegni scarabocchiati. Le curve da brivido e la guida sportiva non intimoriscono i passeggeri che ben rodati si lasciano condurre con serenità. La principale preoccupazione dell'autista è strombazzare con il clacson, rallegrando i suoi due aiutanti. Tira la corda e saluta in questo modo ogni mezzo incrociato nell'altro senso di marcia. Tralascia di pulire il vetro appannato e non si preoccupa neppure di azionare in modo corretto il tergicristallo. Per lui non è difficile vedere la strada. Ci sono anche sorpassi azzardati. La nebbia sfuma gradatamente. Si supera un bus identico, stracarico, ma meno fortunato, perché fermo lungo la scarpata. È rimasto bloccato su una ripidissima salita, in mezzo a un torrente di acqua piovana. Tra clacson e urla, al momento del sorpasso i bambini si salutano da un mezzo all'altro. Sotto c'è uno strapiombo. Mentre guida e la visibilità è ancora limitata, l'autista si distrae facendo scherzi al suo assistente. Gli batte sulla spalla lontana, e quello si rivolge verso il secondo aiutante che nel frattempo, appeso, si sta sporgendo con mezzo busto fuori dalla porta per cercare di fare sventolare bene la bandierina guatemalteca, avvolta e resa pesante dalla pioggia. Prosegue il sali e scendi dei passeggeri. Non c'è mai un posto vacante. Un anziano esile, con una sottile barba incolta e la fronte solcata dalle rughe, riesce a dormire, stretto tra quattro individui nel solito sedile da due posti. Ha la bocca aperta e la testa che ciondola di qua e di là a ritmo simmetrico. Pelle contro pelle, la massa fluttua a ogni curva e sorpasso. I guatemaltechi non comunicano molto a parole; composti aspettano la loro fermata e si preparano alla discesa. Producono più urla i tre del personale che l'intero equipaggio.

A Los Encuentros il torpedone termina la corsa. Non è proprio un diretto. Qui, su un ciglio della strada molto trafficato, convergono bus da ogni dove. Le coincidenze sono organizzate piuttosto bene. Un nuovo chicken bus giunge dopo poca attesa. Ma trascorrono diversi minuti prima che riparta. Nel frattempo, intraprendenti bimbi in età da scuola primaria, alcuni scalzi altri in ciabatte, tutti con magliette sfilacciate e bucherellate, sono indaffarati a cercare di concludere qualche affare. Hanno un viso arrotondato, capelli irti e tratti tipicamente indios. Gli occhi neri. Vendono bibite in bottigliette di plastica, forse spremute di arancia, ma anche e soprattutto patate fritte gialle fluorescenti che ungono sacchetti, tovaglioli e mani. Il profumo è invitante. Uno ha una cesta colma di snack e caramelle. Quando il conducente riavvia il motore, molti piccoli venditori sono ancora a bordo. Si muove e scendono tutti velocemente, alcuni anche a mezzo ormai avviato. Quelli già a terra sorridono nel vedere gli ultimi che si buttano fuori. Altri sono intenti a osservare i viaggiatori seduti, incuriositi soprattutto dai pochi turisti a bordo. Alcune manine ruotano in segno di saluto.
Ha smesso di piovere. Il mezzo si è alleggerito parecchio. Panajachel dista davvero poco ormai. I tempi dei trasferimenti sulle linee locali sono triplicati rispetto a quelli per turisti. È questa la causa della loro risicata presenza sulle linee locali? O forse è il timore dell'imprevedibilità?
Ma è qui che risiede l'essenza del viaggio. Ciò che si vive sui pullman guatemaltechi non ha eguali. Come quando un predicatore vestito di nero e con un librone scuro in mano fa un sermone con tanto di recitazione partecipata. Pone domande ai viaggiatori e alla fine si scopre che sta lavorando: vende un prodotto. Pastiglie energizzanti per uomini, per favorire le prestazioni nei rapporti sessuali.

Paolo Tedeschi, sestese classe 1975. Diplomato in Comunicazioni visive e laureato in Lettere moderne. Educatore professionale, giornalista pubblicista, collabora con La Gazzetta di Sesto e Il Diario del Nordmilano

     
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