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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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tutte le fotografie sono cedute dal Servizio di Marketing Turistico del Governo regionale della Navarra
Feste & Eventi: a Pamplona, Navarra, Spagna

Il cuore di San Fermín
Nove giorni di “rito collettivo”, tra bevute, identità e tori. E un diverso principio di responsabilità personale.

di Giorgio Oldrini

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In verità la festa di San Fermín a Pamplona comincia prima dell’inizio. Ufficialmente infatti tutto prende il via quando a mezzogiorno del 6 luglio dal balcone del Palazzo Municipale un delegato del sindaco, ogni volta diverso, spara in cielo un razzo.
Ma per i pamplonesi la festa comincia alle 10 del mattino, con il tradizionale “Pranzetto”. Le prenotazioni nei vari ristoranti devono essere fatte un anno prima. Basta ritardare solo di qualche mese e non si trova più un posto nemmeno a pagarlo oro. Quando anni fa siamo andati per la prima volta a vedere un San Fermín, ci invitarono al pranzetto. Noi rispondemmo che ci saremmo andati per cortesia, perché tanto alle 10 del mattino mai e poi mai avremmo mangiato quella cascata di salumi, formaggi, paellas, verdure, innaffiate da sidro, birra, vino bianco o rosso. Naturalmente, siccome la fame vien mangiando, dopo esserci seduti alla tavolata per rispetto dei nostri ospiti, abbiamo mangiato e bevuto come fossimo vecchi pamplonesi. Il pranzetto deve finire ineluttabilmente entro le 11,30, perché prima di mezzogiorno tutti devono andare alla piazza del Comune per il chupinazo, l’avvio ufficiale del San Fermín con lo sparo dal balcone del Municipio.

Subito ci si incontra con una caratteristica del rapporto tra responsabilità personale e pubblica secondo gli spagnoli. La piazza del Municipio non è grande, e tutti cercano di entrarvi, pamplonesi e stranieri. Ben presto la calca è infinita, ci si schiaccia, ci si calpestano i piedi, manca l’aria e quelli vicino ai muri vengono inevitabilmente spinti e incollati, pressati contro le case. In più, molti cercano di uscire, mentre altri vogliono entrare, e altri ancora raggiungere qualche amico che scorgono da lontano. Si creano così correnti faticosissime che fanno ondeggiare teste e piedi, che provocano altri pestoni e sensi di asfissia. Ma nessuno impedisce a nessuno di entrare in piazza. Chi vuole vedere il chupinazo sa a cosa va incontro, fa la sua scelta liberamente e ne porta le eventuali conseguenze. Se ti schiacciano i piedi, se ti manca il fiato, se finisci contro un muro è una tua volontà e non puoi lamentartene con nessuno.


Così come il giorno dopo, la mattina, comincia el encierro, la famosa corsa dei tori. Dal corral posto alla periferia, alle 8 del mattino precise si liberano i bestioni che cominciano a correre per il percorso prestabilito e protetto, fino all’Arena. Nessuno impedisce a nessuno di correre, ma se qualcuno viene incornato non succede nulla. Da noi si sequestrerebbero il toro e la strada, si manderebbero avvisi di garanzia agli organizzatori, agli allevatori delle spaventose bestie, al sindaco. In Spagna il principio è che quel che scegli coscientemente è a tuo carico, comprese le conseguenze più pesanti: fa parte della tua esclusiva responsabilità.
La festa è di tutta la città ed esalta un senso di appartenenza per noi sconosciuto. Tutti, il 6 luglio, si vestono di bianco, neonati e centenari compresi, e portano in mano un fazzoletto rosso che appena parte il razzo del chupinazo si annodano, tutti contemporaneamente al collo. E fino al 14, giorno di chiusura, restano vestiti immancabilmente di bianco, con un fazzoletto rosso al collo, fino a quando l’ultimo corteo canta scorrendo per le vie della città Pobre de mi, “povero me”, la festa è finita.
Sono centinaia in quei giorni i cortei laici e religiosi, le feste agli angoli delle strade, i festival musicali e le manifestazioni sportive, soprattutto quelle rustiche, dallo spaccare legna al sollevare massi. Tutte le sere i fuochi artificiali di artisti che vengono da tutto il mondo illuminano il cielo e ognuno si costruisce la sua festa, tra un profluvio di birra, di Kalimoxo, un cocktail di vino e coca-cola, di sidro e di mosto o di vini i più diversi.
Ma, naturalmente, la festa è conosciuta nel mondo per la corsa dei tori. Un percorso rapido, per vie pavimentate con il pavé, piene di corridori spesso ubriachi, arrivati nel recinto dopo una notte passata tra bevute e stravizi, che si intralciano tra di loro, inciampano nei vicini, cadono davanti alle bestie. Il punto centrale, quello più pericoloso, è alla curva di calle Estafeta, dove la via piega con un angolo di 90 gradi per entrare in calle Mercaderes.
I tori e i corridori arrivano lì di corsa, dopo un lungo rettilineo, e devono improvvisamente girare su un pavimento fatto di pavé spesso umido e scivoloso per la rugiada della notte. Se si supera indenni la curva di calle Estafeta si può dire di avere oltrepassato l’inferno taurino. Non a caso gli abitanti della via affittano i balconi a caro prezzo a chi vuole assistere, stando al sicuro, all’ingorgo più pericoloso della festa. Anche le incornate hanno un prezzo. Alto.

Giorgio Oldrini, giornalista professionista dal 1973, ha lavorato all’Unità (è stato corrispondente da Cuba e inviato in America Latina per 8 anni), all’Ansa e a Panorama. Dal 2002 è sindaco di Sesto San Giovanni, sua città d’origine



Nota a margine
Le manifestazioni irrazionali e a volte crude - come la corsa dei tori di Pamplona - sono sempre più criticate. Di recente, il Parlamento catalano ha votato la soppressione delle corride nella regione autonoma, anche se ci si è affrettati a sottolineare che si tratta di una decisione molto meno rilevante di quanto non sarebbe stata a Madrid. In Portogallo, gli animali sacrificati per la Corrida dos touros hanno le corna mozzate. In vari sport, i materiali o gli accessori di protezione, destinati a salvare vite o a limitare i rischi, sono sempre più sofisticati ed efficaci.
In molti casi, poter praticare le stesse attività senza mettere a repentaglio la propria incolumità è un progresso inestimabile. In altri, il dibattito è aperto: il “garantismo” sopprime parte del fascino dell’evento?
Non è molto differente la tendenza attuale ad ammonire le persone sui rischi che corrono fumando («il fumo uccide») o bevendo («bevi responsabilmente»). Stefano Bartezzaghi, nel suo esilarante libro Non ne ho la più squallida idea (Mondadori, 2006), cita il libretto di istruzioni di alcuni prodotti: il medicinale Nytol («Indicazioni: tra amento dell’insonnia. Avvertenza: Attenzione! Può causare sonnolenza»), un asciugacapelli americano («Non usare mentre si dorme»), una motosega svedese («Non cercare di arrestare con le mani»).
In tutti questi casi, il tema della responsabilità individuale è centrale. E apre un dibattito potenzialmente infinito. Da un lato, l’idea che l’essere umano è parte di una comunità e che gli altri hanno il dovere di tutelarlo o dissuaderlo da comportamenti pericolosi. Il docu-film Le jeu de la mort di Christophe Nick è eloquente e traumatizzante sul ruolo - bene co o nefasto - dell’emulazione in un contesto di massa tra esseri umani e della deresponsabilizzazione della persona.
È vero: spesso non sappiamo ciò che facciamo e un consiglio, talvolta un veto di un amico o di un parente ci salva dai guai. Per altro verso, il monitoraggio e i divieti sempre più di usi nella società di massa, stanno erodendo la responsabilità personale. Un tempo forse bastava il buon senso. Questa capacità di discernimento ha un importanza psicologica che va ben al di là delle sue immediate conseguenze sulla nostra incolumità, ma alimenta la capacità critica di ciascuno di noi.
Sa.Co.
     
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