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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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Viaggio in Marocco

Alla ricerca dell'autentico
Incontri e suggestioni tra medine e gole di roccia.

testo di Ludovica Scaletti, foto di Luca Spagnulo


«Un dirham, un dirham, madame». «Spezie, tessuti, babuches, cosa vuole comprare? Quanto vale per lei madame?». Soldi. Tutto ruota intorno a questo per le vie delle città marocchine. Non si può essere così ingenui da pensare che altrove il denaro sia meno importante, ma qui, nelle medine affollate di Marrakesh, Fes e Meknès pare che dalla mattina a notte inoltrata il pensiero sia uno solo, quello di scambiare, vendere, acquistare, a maggior ragione quando ci si trova davanti un turista.
Il Marocco stupisce e incanta con paesaggi che si fanno sempre più africani mano a mano che si procede verso sud, lungo l’Atlante. Si viene rapiti dalla bellezza dell’architettura religiosa, dai colori delle maioliche che rivestono i minareti delle moschee. Da quel “verde minerale” che è il colore dell’Islam. È impossibile rimanere inerti di fronte alla varietà di sfumature, di suoni e odori che si sperimentano nei labirintici mercati. Ciò nonostante permane un senso di distanza, di estraneità a un mondo che forse i marocchini non amano condividere da subito. Salvo rare eccezioni, in Marocco ci si sente un turista, uno straniero, sempre trattato con rispetto, ma comunque come “altro”. D’altronde rappresentiamo un altro mondo, siamo europei, di tradizione cristiana, eccetera eccetera... Inutile dunque ignorare le differenze. Forse bisogna dare ascolto alle guide turistiche: i marocchini non svelano la ricchezza delle proprie case, la bellezza delle loro donne e allo stesso modo nascondono anche la propria anima più autentica, o almeno non la mostrano ai primi arrivati. Il dilemma però resta: come fare per avvicinarsi davvero, per condividere un momento che non sia quello della vendita, del ritorno economico? Tra queste righe non c’è una risposta, ma il racconto dell’umanità che ci è capitato di incontrare.


Il viaggio inizia a Fes, la prima capitale islamica, una città affascinante, ma dura e difficile da scoprire. Qui è facile sperimentare cosa significhi essere dei turisti, un ruolo che si cerca di evitare o almeno camuffare quando si viaggia in modo indipendente. Non appena si mette piede nella città vecchia si è perseguitati da decine di false guide che tentano di accompagnare gli stranieri sprovveduti in cambio di qualche dirham, la moneta locale. Le abbiamo schivate, una per una, finché non ci siamo imbattuti in Omar.
Omar ha dieci anni, o almeno così dice. Va a scuola e ha una famiglia, o almeno così dice. «Francese, spagnolo, inglese, americano... italiano?». Così è iniziata la nostra conversazione, noi seduti sugli zaini nell’angolo di una piazza, in cerca di un po’ di pace; lui in piedi con lo sguardo attento, pronto a cogliere ogni reazione. È bastato rispondergli e Omar ci ha catturato - in senso buono - ci ha divertito e così abbiamo deciso di seguirlo su e giù per i vicoli della città antica (in confronto la pianta del centro storico di Genova è lineare). Questo bambino con il viso da uomo conosce almeno una parola in una delle lingue più parlate, sorride, ha un passo svelto e sicuro; è vestito bene, l’aspetto curato e porta un paio di scarpe da ginnastica all’ultima moda. Quando gli chiediamo come se le sia procurate, lui ci risponde: «turistas» e con le dita mima il fruscio delle banconote. Quando ci salutiamo, dopo aver mangiato insieme un piatto di tajine al pollo, penso ai bambini italiani della sua età e all’abisso che li separa da questo mondo, dalla strada, dove qui si vive davvero.


Da Fes a Meknès in treno, poi fino a Essaouira passando per Marrakech. E ancora da Essaouira in autobus fino a Ouarzazate, da dove partono le strade per il deserto. Da lì fino alle Gorges du Todra, le gole del Todra, un luogo magico soprattutto per gli scalatori. Quando la strada devia da Tinerhir in direzione delle gole, il paesaggio cambia e si fa via via più montuoso e aspro. La vera sorpresa però arriva qualche decina di chilometri più avanti, dove la montagna si apre, si spacca per dare spazio alle acque del fiume, che oggi ha l’aspetto di un torrente per buona parte dell’anno. Siamo in mezzo alle gole, pareti di centinaia di metri che si stagliano nella loro grandezza. Guardando con attenzione la roccia, si notano delle figure in movimento. Sono gli scalatori. Il luogo è noto agli appassionati e in paese c’è un negozio che fornisce il materiale per arrampicare, oltre alle guide, se necessario. A pochi metri dal negozio c’è un'altra insegna che ci incuriosisce: “Maison d’hôte Chez Noriko”, con l’immagine di una donna dai tratti orientali che scala una parete. Ad aprirci la porta è effettivamente una donna giapponese, che parla a stento il francese e per nulla l’inglese. Entriamo così nella sua tana, una casa accogliente e colorata, dove regna un’insolita pace, così distante dal chiasso a cui ci siamo abituati da queste parti. Noriko ci coccola con una splendida cena orientale e con una buona colazione. Purtroppo non riusciamo a scoprire la sua storia, la ragione che l’ha spinta a lasciare il Giappone per trasferirsi in un piccolo paese del sud del Marocco rimane un mistero.


E un mistero resta Younes, 22 anni, il nostro couchsurfer a Zagora. Prima di partire abbiamo setacciato la rete, cercando persone disponibili a offrirci un letto, un giaciglio per passare la notte. Utilizziamo il couchsurfing, un sistema che permette di condividere l’ospitalità in giro per il mondo, senza chiedere nulla in cambio. Younes è saltato fuori in modo inaspettato: un’altra persona che non ci avrebbe potuto ospitare a Marrakech ci ha dato il suo contatto e così ci siamo scritti. Con grande entusiasmo Younes ci ha invitati a Zagora, valle del Draa, l’ultima città prima delle dune, l’avamposto che separa il mondo “civilizzato” dal deserto. Arriviamo a Zagora di sera, la luna quasi piena sembra incredibilmente vicina; la strada si inerpica sull’Atlante e il viaggio in autobus è piuttosto faticoso. Younes ci aspetta alla stazione, sorride con il suo turbante bianco arrotolato sul capo (misura 10 metri, scopriamo più tardi). Prendiamo un taxi e arriviamo in una casa. Ad attenderci c’è René. Sarà lui a ospitarci, a raccontarci aneddoti e storie sul Marocco. Younes, dopo averci proposto un tour nel deserto e aver incassato il nostro rifiuto, scompare. René è sorprendente, ci tratta come se fossimo dei nipoti. Ha una sessantina d’anni, è un postino francese in pensione e da tre anni vive in Marocco, prima vicino a Casablanca e ora a Zagora, dove fa il volontario in una scuola elementare. Ecco un’altra persona che ha fatto del Marocco il proprio luogo d’elezione. O come ha scritto qualcuno sul suo libro degli ospiti: “Un’altra anima bella che ha lasciato la nostra povera Europa”.

Un’anima bella è anche quella di Kyle, che ci ospita a Tahanaout, trenta chilometri a sud di Marrakech. Kyle è statunitense, ha studiato giornalismo e da un anno è volontario in una scuola del paese, dove insegna inglese e musica. Vive in un modesto appartamento, parla arabo e sembra che tutti lo apprezzino. Lo si nota passeggiando in strada con lui: i bambini lo chiamano, i signori gli stringono la mano e gli sorridono. Gli rimangono altri sette mesi e poi tornerà in Pennsylvania. Ancora sette mesi prima di poter uscire a bere una birra con gli amici... Piccole cose insignificanti di cui però inizia a sentire la mancanza.

Omar, Noriko, René e Kyle. Quattro persone, quattro nazionalità e quattro età diverse tra loro. Quattro spaccati di vita marocchina che ci hanno aiutato a tracciare un possibile profilo, solo un’idea, di quello che è il Marocco oggi, ma soprattutto di cosa significhi viverci. Ci hanno permesso di valicare, anche se timidamente e solo in parte, quel confine che separa le culture, di intuire cosa sia nascosto sotto la superficie, aldilà dell’immagine da rivista che ci viene proposta di solito. Incontrarli è stato fondamentale e mi fa riflettere su come di un viaggio si ricordino sì i paesaggi, i monumenti, il cibo e le tradizioni, ma in particolare i visi, le facce di coloro che incrociamo. Anime che vuoi il destino, vuoi un Dio, vuoi il caso, ha messo sulla nostra strada.


Piccole informazioni di viaggio
Trasporti: Aereo Ryanair da Orio al Serio a Fes e da Marrakesh a Orio al Serio. Oppure Easyjet da Milano Malpensa a Casablanca.
Treno da Fes a Meknès e da Meknès a Marrakech. Autobus per il resto delle tratte (esistono diverse compagnie, le più note e diffuse sono Supratours e Ctm). Conviene acquistare i biglietti con un certo anticipo perché normalmente gli autobus sono molto affollati. Per i bagagli si paga un biglietto a parte. I prezzi dei treni come dei bus sono accessibili. Per muoversi in città è comodo utilizzare i taxi (singoli o collettivi). Normalmente nelle città i “petit taxi” (gialli) funzionano come in Italia; i prezzi sono inferiori, ma è buona abitudine informarsi prima sul costo del tragitto e ricordarsi che si può contrattare! Nei paesi invece troverete i taxi collettivi (solitamente sono bianchi); dopo aver comunicato la vostra destinazione al conducente dovrete aspettare che l’auto si riempia (sei posti). Infatti in questi taxi si paga la “place”, ossia il posto. È meglio aspettare perché altrimenti sarete tenuti a pagare la tariffa piena, come se il taxi fosse completo.


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