Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
Vai a www.possibiliaeditore.eu |
|
|
Henri Pélissier in una
cartolina d’epoca |
|
|
Ciclismo: ai
primordi dell’epica “sporca” di un mestiere
Come bestie da strada Henri
Pélissier, il campione che amava essere odiato. di
Simone Basso |
>
scopri il pdf |
«Ci trattano come bestie sul campo della fiera»
Nella figura controversa di Henri Pélissier (1889-1935) possiamo leggere
le viscere del primo Novecento sportivo e scoprire la nostra infatuazione
per quel mestiere crudele che si chiama ciclismo. Plume fu
talmente personaggio da rappresentare, da solo, tutta l’epica “sporca”
di un rito; ebbe una carriera pari alla vita, cioè esagerata e improbabile.
Tanto da far pensare che, nell’essenza tormentata di quella Francia,
fosse la trasposizione in carne e ossa di uno dei protagonisti bastardi
dei romanzi di Céline. Campionissimo anomalo e bizzarro, anticipò
tutti i temi, gli splendori e le miserie dello sport professionistico
di cui fu profeta inconsapevole.
Nulla è semplice nel viaggio di Henri, mutante iconoclasta per vocazione:
iniziò la sua odissea a sedici anni, cacciato di casa dal padre. I
Pélissier, allevatori di bestiame e produttori di latte, in una fattoria
ai limiti della sopravvivenza nell’Auvergne, si trasferirono a Parigi
per scappare dalla miseria. Fu proprio la bicicletta, mezzo di lavoro
per le consegne mattutine, lo strumento per sfuggire a quel destino
e la ragione principale dell’allontanamento di Henri dalla dimora
paterna. Se Francis e Charles seguiranno con successo le orme del
primogenito, Jean (il secondo dei quattro fratelli) non mostrò mai
interesse verso il ciclismo, malgrado una vigoria insita nel codice
genetico dei Pélissier, che ne fece un contadino stakanovista, dalla
forza impressionante. Henri invece, ancora giovanissimo, fu soprannominato
Ficelle (“spago”, ma anche il pane francese più sottile...)
per la sua magrezza; caratteristica che si accompagnò a doti atletiche
straordinarie, moderne, che ancora oggi ne farebbero un campione.
La Piuma - ecco spiegato l’altro nomignolo - fu precursore anche in
questo: a un cuore eccezionale unì gambe lunghe e affusolate, che
gli consentirono uno stile di pedalata unico, a dispetto di strade
infami e mezzi meccanici arcaici pesantissimi. Elegante malgrado le
fatiche omeriche di quell’era pionieristica, si distanziò quindi dallo
stereotipo del “ciclista scorfano”.
Che potesse diventare un fuoriclasse lo capì per primo il leggendario
Lucien Petit- Breton: l’Immortale che passò il testimone del califfato
a Pélissier, contraddistinse l’epoca antecedente aggiudicandosi le
gare più prestigiose del calendario di inizio secolo. L’incontro,
talmente casuale da far pensare a un segnale del fato, avvenne il
dì di Ferragosto del 1911. La proposta, che cambiò definitivamente
l’esistenza di Henri, fu di accompagnare in Italia l’argentino
(Lucien Mazan, il suo vero nome, cominciò l’agonismo da emigrante
in Sudamerica) per una serie di corse. Sceso dal treno a Milano, Plume
salì nell’empireo della pedivella.
L’Italia fu importantissima per Pélissier: nel Belpaese si affermò
subito, esibendo quelle caratteristiche (tecniche e comportamentali)
che lo resero un divo. La tumultuosa e controversa affermazione al
Giro di Lombardia 1911 inaugurò la sua rivalità con Costante Girardengo,
il primo campionissimo della storia di BiciItalia. Un duello perfetto
perché contrappose due atleti completamente diversi: aggressivo e
spavaldo il francese, attendista e implacabile “l’omino” di Novi Ligure.
Ne nacque l’archetipo di riferimento di tutti i duelli futuri. Anche
perché Henri, lunatico e dal carattere volatile, si prestò sempre
alla bisogna: preannunciò diverse volte le sue vittorie e mantenne
la promesse, instaurò un conflitto permanente con l’intero scibile
umano (colleghi, giornalisti, organizzatori, folla) e amò essere odiato.
L’altro nemico storico sui pedali fu Philippe Thijs, straordinario
rouleur belga. Pélissier divenne Pélissier grazie al Tour 1914
e alla sua sfida con l’uomo di Anderlecht; quella Grande Boucle
incrociò la sua storia con un avvenimento epocale del Secolo Breve:
il via infatti fu dato il 28 giugno, la mattina dell’attentato di
Gavrilo Princip che uccise l’arciduca ereditario d’Austria e sua moglie,
la duchessa di Hohenberg. La partenza della Grande Boucle coincise
dunque con l’inizio della Grande Guerra... Plume si sentì deufradato
di una vittoria certa: le polemiche infuriarono dopo l’epilogo della
frazione di Dunkerque. Successe che Thijs, a poco dal traguardo, ruppe
la forcella. Quel ciclismo primitivo non permetteva per regolamento
l’assistenza tecnica, ma il belga chiese aiuto a un negozio di biciclette
sulla strada (!) e, penalizzato dalla giuria di trenta minuti, riuscì
a salvare la maglia gialla per meno di due primi. Pélissier, che durante
quella frazione fu pure ostacolato da un gruppo di facinorosi, chiese
invano la squalifica dell’avversario e cominciò un contenzioso con
l’inventore e patron del Tour, Monsieur Henri Desgrange.
I botta e risposta tra i due, velenosissimi, divennero la prima forma
di promozione dello sport oltre il fatto agonistico: Plume, primula
rossa autentica, rivoluzionò i parametri dell’atleta professionista,
con lui finalmente anche essere parlante e dialogante. Stabilì un
rapporto diretto con i media di allora e divenne personaggio a tutto
campo, al di fuori della retorica fangosa e fachiresca del ciclista
poverocristo. |
|
|
Francis e Henri Pélissier |
|
|
Il carteggio infinito con Desgrange, contestato nel corso degli anni
in maniera quasi sprezzante, fu anche un gioco delle parti: regalò
un’esposizione mediatica mai verificatasi prima e nemmeno presa in
considerazione. Il direttore lo apostrofò in maniera a dir poco variopinta:
«Pélissier può vincere tutte le corse tranne il Tour... Un campione
arrogante e presuntuoso... Baciato dalla classe ma incapace di soffrire».
Anche da questo punto di vista, i due esplorarono un territorio vergine,
anticipando tutto l’immaginario dello sport professionistico moderno.
Henri, superomista a cavallo del suo trabiccolo di acciaio, sarebbe
piaciuto tanto a Nietzsche: «Gli altri sono cavalli da tiro, io un
purosangue».
Il giorno dopo questa boutade forò e il gruppo si coalizzò per non
farlo rientrare: lui e il fratello Francis furono lasciati a trenta
minuti di distacco.
Primissimo sindacalista della pedivella, contestò aspramente il trattamento
inumano degli organizzatori che, oltre il sadismo, imposero regole
assurde ai corridori. Durante il Tour si arrivò a controllare le razioni
di cibo (!) per consentire lo stesso quantitativo a tutti i partecipanti:
Plume fu il contestatore, isolato, di quella mentalità retrograda:
«Ci trattano come bestie sul campo della fiera», protestava.
Creò anche il primo sindacato ciclisti, ma ebbe pochissimo sostegno
da parte dei colleghi: d’altronde, il Baobab fu tale anche
per la diffidenza dell’ambiente, visti i pessimi rapporti con l’intera
umanità di questo Zeno Cosini di origini umili...
Nel 1920 la sua abiura più clamorosa della corsa francese: in condizioni
meteorologiche proibitive, meditò il ritiro durante la terza tappa
ma sulla strada verso Brest, a Morlaix, scoprì di non avere abbastanza
franchi per il treno. Così, con Eugène Christophe, risalì la corsa
per “scaldarsi”; raggiunto il plotone di testa, decise di vincere
la tappa ed eseguì la formalità con una volata impeccabile. Allora
programmò beffardo il rientro a casa dopo la quarta tappa, Brest-Les
Sables d’Olonne (lunga 412 km), nella quale naturalmente si impose
in bello stile... Per il travaso di bile di Henri Desgrange.
Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie.
(Giuseppe Ungaretti)
Venne la tragedia bellica e l’Europa si trasformò in una tomba a cielo
aperto; i ciclisti, anche i campioni, partirono per il fronte e morirono.
Scomparvero Jean Pélissier e Lucien Petit-Breton, il maestro di Plume.
Carlo Oriani, vincitore del Giro d’Italia 1913, fu stroncato da una
polmonite contratta attraversando più volte, a nuoto, il Tagliamento
per salvare i commilitoni: spirò in un ospedale di Caserta. Francois
Faber, il gigante lussemburghese emigrato a Colombes che dominò un
Tour, si arruolò nella legione straniera francese e cadde al fronte,
durante la battaglia di Artois. La Grande Guerra fece anche una strage
di corridori: Lapize, Hourlier, Wattelier, Friol, Boillot, Engel,
Cadolle... Furono commemorati il 20 aprile 1919 alla partenza della
Parigi-Roubaix, la prima edizione dopo il massacro. La gara si disputò
in uno scenario spettrale, di devastazione e morte: i partecipanti
dovettero montare pneumatici di seicento grammi, per via delle strade
demolite e fatiscenti. In un clima irreale, apocalittico, sottolineato
da una cappa invernale di nuvole, si provò a correre e, puntuali,
ritornarono Pélissier e Thijs. Nel Velodromo, Henri precedette Philippe
allo sprint: per un attimo infinito, osservando le lacrime del belga
battuto, il pubblico si dimenticò di quegli anni di sangue e distruzione.
La magia del ciclismo alberga proprio in questo: porta sulle strade
una metafora cruda, che sembra lo specchio della vita di tutti.
Simone Basso tra le troppe cose che fa per
sopravvivere è un cantante, aka Enomìsossab, ed ogni tanto scrive
di sport e di musica...
Il palmares di Henri Pélissier
Henri Pélissier colse i primi successi agonistici nel 1910. In quell’anno
vinse Parigi-Le Havre, la Parigi-Paris Plage e si classificò terzo
tra i corridori indipendenti al Tour de France (vincendo una tappa).
Nel 1911 vinse in Italia: il Giro di Lombardia, la Milano-Torino e
la Firenze- Torino-Roma.
Nel 1912 vinse la Milano-Sanremo e fu terzo al Giro del Belgio.
Nel 1913 bissò il Giro di Lombardia e vinse una tappa al Tour de France.
Nel 1914 si classificò secondo al Tour, vincendo tre tappe.
Nel 1917 vinse la Trouville-Parigi e arrivò secondo al Giro di Lombardia.
Nel 1919 si laureò Campione di Francia e vinse: Parigi-Roubaix, Bordeaux-
Parigi, Circuito del Morvan, GP della Loira e una tappa al Tour.
Nel 1920 vinse molto: Parigi-Bruxelles, Giro di Lombardia, Parigi-Metz,
Petit Circuit des Champs de Bataille, GP della Loira, GP dell’Armistizio,
Challenge de Paris, Côte du Mont Agel e due tappe al Tour de France.
Nel 1921: Parigi-Roubaix e Côte du Mont Agel.
Nel 1922: Parigi-Tour, Parigi-Nancy, Circuit de Paris, Côte du Mont
Agel.
Nel 1923 si aggiudicò finalmente il Tour de France, vincendo anche
tre tappe e strappando la maglia gialla a Bottecchia proprio all’ultima
tappa.
Nel 1924 vinse la Parigi-Chauny e il GP Automoto di Rouen.
Nel 1925 nessuna vittoria assoluta, ma un quarto posto alla Parigi-Roubaix.
Nel 1926, giunse sesto alla Parigi-Roubaix.
In tutto, abbandonò sette volte il Tour. |
|
|