Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il
numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione
che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano
il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante
altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra
rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto
di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati.
Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona
per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie
così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si
aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata
- e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere
eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così
entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso
di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il
vino, il rugby e il viaggio.
Contatta la redazione: redazione@possibilia.eu
I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare
il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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Posto quindi sono?
di Samuel Cogliati
Facebook è diventato uno specchio abbastanza fedele di una parte della
società. Statisticamente, rappresenta probabilmente ancora una minoranza,
tuttavia cospicua. Agli occhi di chi frequenta questa rete sociale
da qualche anno, la sua trasformazione deve sembrare evidente. Non
sto parlando delle modalità di fruizione, né degli strumenti che Facebook
mette a disposizione dei suoi clienti, ma dei suoi contenuti.
Da strumento usato per ritrovare amici o conoscenti perduti negli
anni, Facebook è diventato un luogo di sfogo di amarezze, frustrazioni
e indignazione, o di espressione dei propri entusiasmi e successi.
Soprattutto, però, si è trasformato in uno spazio di esibizione personale.
È curioso scoprire quante e quali persone sentano il bisogno di mostrare
qualcosa di sé, di mettersi in vetrina, di fare sapere al mondo che
cosa stiano facendo, mangiando, bevendo, più raramente pensando o
sognando. La riservatezza sembra polverizzata, in alcuni casi assieme
al senso del pudore. La vita privata diventa di pubblico dominio per
molti iscritti, che si fanno prendere la mano con sorprendente facilità
da quello che sembra a tutti gli effetti un gioco.
La quantità di informazioni personali - talora “sensibili”, e usate
con scarsissima cognizione del rischio - messe in mostra su Facebook
è impressionante. Gusti, passioni, idiosincrasie, immagini di sé,
ma soprattutto gesti e azioni quotidiani inondano la piattaforma di
Mark Zuckerberg. È come se sempre più persone non potessero più fare
una cosa, vivere un'emozione o avere un'idea senza renderle pubbliche.
Questa non è (più solo) condivisione, è ipertrofia compulsiva di sé,
del proprio ego, e forse anche panico di fronte al rischio di non
essere. «Posto, quindi sono. Se non posto, mi dissolvo nell'eterea,
impalpabile assenza». Se le cose stessero davvero così, sarebbe molto
curioso - o preoccupante - perché significherebbe una paradossale
confusione dei due poli: il virtuale sarebbe presenza, la realtà assenza.
«Guardami! Se mi guardi io esisto!», sembra gridare l'assiduo frequentatore
di Facebook. Stando così le cose, i post si sono moltiplicati, e i
contenuti diluiti vertiginosamente. Chi posta una foto del piatto
di pasta che sta mangiando, o chi scrive «e adesso una bella doccia
rigenerante» si domanda chi e quanto possa interessare il suo intervento?
Probabilmente no. Non è molto importante avere davvero qualcosa da
dire, ma testimoniare la propria esistenza.
D'altro canto, Facebook sembra essere diventato una realtà alternativa,
come se bastasse usarlo per ottenere risultati concreti (il che talvolta
accade, dato che le reti sociali virtuali possono avere un deflagrante
potere dissuasivo o diffamante, al punto da indurre gli interessati
a prendere provvedimenti). Le persone protestano, propongono, lanciano
appelli, ma non è poi dato sapere che esito o che conseguenze abbiano
queste iniziative. C'è da scommettere che molte di esse restino lettera
morta. Siamo al cospetto di un gigantesco paradosso. In una fase storica
delle nostre vite e della nostra civiltà (occidentale e capitalistica,
ma non solo) che grida vendetta, che implora partecipazione, atti
concreti, impegno civico, rinnovamento sociale, intraprendenza reale,
una parte della cittadinanza del mondo diserta le piazze, le botteghe,
le scuole, le assemblee, per rifugiarsi sulla Rete. È un atteggiamento
che stride per un verso con le stesse istanze dei grafomani di internet,
e per altro verso con il disfacimento sempre più rapido della società.
In Italia, negli ultimi anni, si è sentito invocare frequentemente,
anche da parte delle più prestigiose istituzioni, la “coesione sociale”.
In pochi si sono però spesi a spiegare in che cosa consista. Non pare
proprio che Facebook - teoricamente concepito per avvicinare le persone
- stia servendo questo concetto. Non per colpa dello strumento in
sé, di certo interessante, ma della scarsa padronanza e contezza che
dimostrano di averne sempre più fruitori.
Scrivici: redazione@possibilia.eu |
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