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Il periodico
Dopo una laboriosa (e avventurosa) preparazione, a ottobre 2009 esce il numero zero di www.possibilia.eu periodico online per curiosi. Una realizzazione che riflette l'orizzonte libero e senza preconcetti della nostra linea editoriale.
Da subito, un gruppo di autori aderisce al progetto, alcuni dei quali formano il nucleo redazionale più stabile.
Possibilia si non si propone di fare informazione in senso stretto: tante altre testate più veloci e attrezzate ricoprono già questo ruolo. La nostra rivista desidera offrire ai suoi lettori contenuti insoliti, dando diritto di cittadinanza a temi o chiavi di lettura spesso trascurati o snobbati. Un periodico generalista a 360 gradi? Solo in parte. Possibilia non funziona per compartimenti tematici, ma per modalità di approccio alla materia. Accoglie così una sezione per Dilettarsi, una per Pensare e una per Sorridere. Si aggiungono una sezione di News - la sezione “d'attualità” della testata - e una sezione destinata ai Pubbliredazionali, con lo scrupolo di mantenere eticamente distinti contenuti commerciali e redazionali, valorizzando così entrambi.
Con la nuova versione della rivista, inaugurata nel 2012, abbiamo deciso di aggiungere una sezione (le Rubrilie) dedicata alle nostre passioni: il vino, il rugby e il viaggio.

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I libri
Nel 2010, gli esiti incoraggianti della rivista e il desiderio di ampliare il progetto editoriale dànno vita alla parte cartacea della nostra attività.
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Blowin' in the wind 2012
Si chiamano tagli (inutili e ingiusti) alla spesa, non spending review.
Ma sono solo la punta di un iceberg destinato a sciogliersi.


di Samuel Cogliati

Adesso basta. I tagli alla spesa, che chiamano spending review perché con l'inglese si maschera tradizionalmente la vuotezza o la pericolosità dei contenuti, sono una carneficina. Non solo: sono l'ennesimo e non ultimo (l'Iva al 23% è solo rinviata) intervento finanziario che non è più sufficiente definire sbagliato.
Serve il taglio del numero dei parlamentari; non l'hanno fatto. Serve il taglio delle auto blu; ammesso che lo facciano davvero, è insufficiente. Serve rinunciare a nuovi aerei da guerra; ne hanno ordinati lo stesso. Serve tagliare le pensioni dei politici; sono intervenuti su quelle dei cittadini. Serve una patrimoniale; non se n'è vista l'ombra. Si potrebbe andare avanti a lungo con gli esempi... Peraltro, se tra il governo Monti e ad esempio quello Hollande-Ayrault (che aumenta le tasse ai ricchi) qualche differenza c'è, entrambi sono in fondo l'espressione di una politica asservita all'economia e alla finanza.

Ma la domanda di fondo è: perché fare questi “sacrifici”? Se è per correggere lo spread, non pare proprio che funzionino. Se è per rilanciare la crescita - e quindi l'occupazione - non ne vale la pena. Christine Lagarde (Fmi) ha lanciato l'allarme: «Attenzione, tutta l'economia mondiale sta rallentando!» Osservazione acutissima, e naturalmente era impossibile prevederlo... Un po' come Mario Draghi, che ancora governatore della Banca d'Italia avvertiva: siamo in crisi! Non mi dire...
Oggi, le frange progressiste dello scenario politico ripetono (a se stesse?) come una litania: «Il rigore non basta! Ci vogliono interventi per la crescita!» Senza bisogno di competenze tecniche, basta un po' di lungimiranza per rendersi conto che la crescita è un modello ormai senza senso e che, tutt'al più, dopo un'ipotetica ripresa ci porterà verso una nuova crisi, un altro spread, altri tagli, altre divaricazioni della forbice tra ricchi e poveri. È semplice buon senso. Il modello capitalistico e produttivistico è fallito. Quanto tempo e quanto sangue ci vorranno ancora per arrendersi all'evidenza? Non è una considerazione anarcoide né comunista; è puro realismo.

Per le nuove generazioni - ma anche per le vecchie, visto chi ha più di qualche anno di vita davanti a sé deve porsi il problema - occorre un modello diverso. Un modello intelligente, che stronchi sprechi e privilegi, che ridistribuisca sforzi e risorse, che riorganizzi completamente ciò che finora abbiamo chiamato Stato sociale, che riporti al centro l'economia reale, che si fondi sul riciclo e il riuso, che superi la logica del Pil. Che ci sia bisogno di tutto questo lo dicono i numeri, la demografia; è matematica, non ideologia. Qualcuno battezzerà questa visione con il nome di utopia, qualcun altro con quello di rivoluzione. Non ha importanza il nome: non abbiamo più scelta.

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