di Samuel Cogliati Gorlier

• 6 maggio 2025 •

Bruce Springsteen mi piace molto. Ho l’impressione che il successo planetario del Boss (157 milioni di dischi venduti in carriera, secondo una stima ¹, una serie ininterrotta di concerti da tutto esaurito nel mondo intero) non vada imputato tanto al suo talento e alla sua stoffa musicali, quanto al suo spessore come personaggio.
Sul piano strettamente strumentale e compositivo mi pare ci siano numerosi esempi di artisti di valore superiore ma assai meno popolari. D’altra parte, nella musica come in molti altri settori, non c’è correlazione diretta e automatica tra talento e reputazione.

Ma Springsteen va còlto a tutto tondo, come una straordinaria macchina da show business, perfettamente congegnale alla cultura pop novecentesca, che persiste anche nel XXI secolo, come pochi altri artisti sono riusciti a fare. Perché a differenza di altri performer dello show biz, qui appare tutto vero, sincero, trasparente, per quanto spropositato.
A fare la differenza, tra varie altri elementi, mi pare sia la meccanica dei suoi show; non a caso il Boss è così forte dal vivo, un animale da palcoscenico come pochi altri. Questa dote si ritrova nei suoi racconti autobiografici, già dalla prima giovinezza artistica, e si apprezza fin dai video dei suoi concerti più datati.
Se non ne siete convinti guardate questa versione live di Born to Run, secondo molti osservatori il brano più deflagrante e trascinante della lunga carriera di Springsteen, in questo caso eseguito al Madison Square Garden di New York nell’estate del 2000.

Qui il Boss gioca in casa, certo, picchia duro con una delle sue hit più celebri e più riuscite, e appare in un momento di grande forma. È solo uno dei molti esempi possibili di questo fenomeno. Quale fenomeno? La comunione totale con il pubblico.
Constatare come e a che punto il musicista riesca a coinvolgere migliaia di persone così intensamente e così in profondità è stupefacente. Questo brano e questo musicista ne sono un esempio particolarmente riuscito, ma non certo l’unico.
Guardate e ascoltate questo video. La partecipazione, come un unico corpo, di un pubblico così numeroso, assorbito in un solo slancio corale, quasi fosse un tutt’uno, esplode per potenza ma anche per precisione nell’interazione dell’“oooh” che segmenta in due parti ogni strofa. È un rito iniziatico in cui tra il capo e il branco si instaura un’identificazione reciproca di cui nessuno dei due si sente responsabile. Certo, c’è un attore e un agito, ma questo solo in teoria; in quel frangente la deresponsabilizzazione è completa, quanto meno finché dura il rito. (L’irresponsabilità del pubblico va da sé; quella dell’idolo è una condizione sine qua non per affrontare il palco, viceversa l’ansia sarebbe insopportabile).

Penso che anche a chi Springsteen non piace particolarmente ma possiede qualche forma di sensibilità musicale – non tanto tecnica quanto empatica –, lo spettacolo s’imponga con la sua evidenza. Quale evidenza? Quella che la musica, ovvero il suono, orchestrato in maniera articolata, sostenuto o meno da parole dotate di una forza emozionale che fa leva su un vissuto o su aspirazioni diffusi e comuni tra gli esseri senzienti, sprigioni una reazione di raro vigore e rara potenzialità. Una reazione chimica, perché di vera e propria chimica fisiologica si tratta, che concretizza un momento umano collettivo altrimenti impensabile.

Al contrario di altri riti del tutto analoghi che attizzano l’odio, la paura o la violenza, la musica produce amore, nella sua forma più elevata, che ha a che fare con l’erotismo, ma ha anche a che fare con la gioia del sentirsi e del concepirsi parte di un tutto compartecipato da tanti altri esseri come noi. In quella sorta di delirio collettivo utopico (purtroppo fragilissimo ed evanescente) che rimanda al cosmo primigenio, il male cessa di esistere e trionfa quanto di meglio l’umano porti in sé. 

No, non è retorica pensare e dire che la (buona) musica produca gioia e pace; è davvero così. Né è falsa retorica pensare che la musica possa, almeno in parte, rappresentare una delle soluzioni ai mali del mondo. A iniziare dal più tremendo: la guerra.
Ci vuole più musica. Molta più musica. • 

cogliati@possibiliaeditore.eu


¹ Fonte: Chart Masters’ 

[fotografia in alto Craig ONeal – CC BY SA 2.0]